Omaggiato dal 40° Torino Film Festival con una retrospettiva e insignito ieri del premio Stella della Mole, Malcolm McDowell è da oltre mezzo secolo uno degli attori inglesi più noti al mondo, in particolare per l’indimenticabile interpretazione del sadico e violento Alex De Large in Arancia Meccanica di Stanley Kubrick (1971).
Leggi tutto: MALCOLM MCDOWELL PREMIATO A TORINOArduo parlare di una figura così popolare ma atipica senza ripetere quanto già scritto su di lui in questi decenni. McDowell non è mai stato una star canonicamente intesa e nemmeno il beniamino di una specifica stagione o corrente cinematografica, eppure ha saputo attraversare nell’arco della sua prolifica carriera svariate narrazioni in contesti europei e oltreoceano, guidato spesso da grandissimi autori.
Dopo essersi fatto le ossa a teatro, esordisce nel 1968, subito protagonista, in una delle ultime vette del Free Cinema britannico e Palma d’oro a Cannes, Se… di Lindsay Anderson (e con questo regista riproporrà il personaggio di Mick Travis in una sorta di ciclo truffautiano nei successivi O Lucky Man! del 1973, e Britannia Hospital del 1982). Dopo l’ingiustamente dimenticato Caccia sadica (1970) distopia en plein air diretta da Joseph Losey, Kubrick non ha alcuna esitazione nel chiamarlo: l’ineffabile sguardo teneramente infantile capace di trasformarsi con il solo accenno di un sorriso in un ghigno perverso era infatti davvero unico e terrorizzante, e incarnava l’essenza stessa del giovanissimo criminale uscito dalla penna di Anthony Burgess.
Raggiunto il suo posto nel pantheon della settima arte (non senza coraggiosi sacrifici – basti ricordare le serie lesioni corneali subite durante le infinite riprese della celeberrima “cura Ludovico”), l’immagine di McDowell è stata segnata nel bene e nel male da quei folgoranti inizi, non riuscendo a dar seguito a quella prima felice stagione. Rimettendosi però in gioco con caparbietà a partire dagli anni ’80 ha saputo avviare una prolifica seconda vita professionale ritagliandosi uno spazio in cui esprimere la propria versatilità, spesso in ruoli secondari, ma lasciando sempre un’impronta personale aldilà degli effettivi meriti dei film.
Ricordiamo Il bacio della pantera di Paul Schrader (1982), L’assassino dello Zar di Karen Shakhnazarov (1991), Gangster nº 1 di Paul McGuigan (2000), Evilenko di David Grieco (2004), un paio di Altman e il gustoso one man show di Mike Kaplan Never Apologies (2007) per ricordare alla sua maniera l’amico/mentore Anderson. E questa abilità di performer l’abbiamo gustata durante il festival, in una masterclass ricca di aneddoti e battute brillanti e, ancora, nelle argute presentazioni dei film proposti, dimostrando una verve (79 anni portati splendidamente), il carisma e al contempo l’affabilità del divo in grado di coinvolgere anche il pubblico dei più giovani.
Il premio torinese contribuisce a colmare la lacuna dei davvero troppo pochi riconoscimenti assegnati dal mondo del cinema a McDowell (snobbato da Oscar e Bafta, una sola nomination ai Golden Globe, un European Film Awards speciale, un Nastro d’Argento speciale), mentre l’incontrarlo dal vivo ci ha permesso una volta per tutte di scacciare l’aurea malvagia che circonda il suo doppio cinematografico: Malcolm non è mai stato Alex.
Davide Troncossi