Archivi tag: cinema

“MANODOPERA – INTERDIT AUX CHIENS ET AUX ITALIENS” BY ALAIN UGHETTO 

Article by: Emidio Sciamanna 

Translated by: Maria Bellantoni

Memories of a distant past that gradually fades in time often remain linked to an ideal world reworked by our minds to preserve emotions, sensations, fleeting instants of our existence in which we have, even for an instant, savoured flashes of true happiness. Manodopera recounts the world evoked by the sweet and nostalgic words of a grandmother, restoring the memory of a bygone era, made up of sacrifices and carefreeness, suffering and love.

The location, recreated in stop-motion, is a small mountain village at the foot of Monviso. It is called Borgata Ughettera and recalls the director Alain Ughetto’s Piedmontese origins. The film comes to life through the words of Cesira, his grandmother, who thinks back to her youth towards the end of the 19th century. Starting from some fundamental events, she thus gives rise to a reality suspended in time that is emphasised by the fragile malleability of the plasticine with which the characters are made of.

Between cardboard houses and bizarre broccoli trees, the objects somehow represent an indispensable aspect of the story; tangible elements whose purpose is to bring the sweetness of a memory closer to the purity of nature. The simplicity of the poor peasant world, the meeting with her future husband Luigi, the difficult periods of war and the need to emigrate to France in order to work and survive: these are the episodes that characterise Cesira’s past and that she describes to her nephew, in a surreal and poetic exchange between the animated universe and the real presence of the director on stage.

What Ughetto wanted to tell is not only the story of his origins, but also the story of all immigrants, wherever they come from in the world. A story of hard work, of adaptation, of gazes that lacerate the soul and leave irremediable wounds. This is why certain stereotypes in the film take on a different meaning, as if they were the images perceived by those who feel invaded and – not knowing other cultures and not understanding the languages spoken by migrants – judge those from other countries as inferior. As the original title makes clear: “forbidden to dogs and Italians”, a dramatic situation that our families have had to live with in the past and that is being played out again today, this time through the eyes of the viewer.

“MANODOPERA – INTERDIT AUX CHIENS ET AUX ITALIENS” DI ALAIN UGHETTO

I ricordi di un passato lontano che progressivamente svanisce nel tempo rimangono spesso legati a un mondo ideale rielaborato dalla nostra mente per preservare emozioni, sensazioni, fugaci istanti della nostra esistenza in cui abbiamo, anche solo per un istante, assaporato sprazzi di vera felicità. Manodopera racconta il mondo rievocato dalle dolci e nostalgiche parole di una nonna, restituendo la memoria di un’epoca passata, costituita tra sacrifici e spensieratezza, sofferenza e amore.

Il luogo, ricreato in stop motion, è un piccolo paesino di montagna situato ai piedi del Monviso che prende il nome di Borgata Ughettera e richiama le origini piemontesi del regista Alain Ughetto. Il film prende vita attraverso le parole di Cesira, sua nonna, che ripensa alla sua gioventù verso la fine del diciannovesimo secolo. Partendo da alcuni fondamentali avvenimenti, dà così origine a una realtà sospesa nel tempo che la fragile malleabilità della plastilina con la quale sono realizzati i personaggi enfatizza.

Tra case di cartone e bizzarri alberi di broccoli, gli oggetti utilizzati rappresentano in qualche modo un aspetto indispensabile per la storia; elementi tangibili, il cui scopo è quello di avvicinare la dolcezza di un ricordo alla purezza della natura. La semplicità del povero mondo contadino, l’incontro con il futuro marito Luigi, i difficili periodi di guerra e la necessità di emigrare in Francia per poter lavorare e sopravvivere: sono gli episodi che caratterizzano il passato di Cesira e che lei stessa descrive al nipote, in un surreale e poetico scambio tra l’universo animato e la presenza reale del regista sulla scena.

Ciò che Ughetto voleva raccontare non è soltanto la storia delle sue origini, ma anche quella di tutti gli immigrati, da qualsiasi parte del mondo essi provengano. Una storia fatta di fatica, di adattamento, di sguardi che lacerano l’anima e lasciano ferite insanabili. Per questo, alcuni stereotipi presenti nel film assumono un significato diverso, come se fossero le immagini percepite da chi si sente invaso e – non conoscendo le altre culture e non capendo le lingue parlate dai migranti – giudica inferiore chi viene da altri paesi. Come il titolo originale ben evidenzia: “vietato ai cani e agli italiani”, una situazione drammatica in cui in passato le nostre famiglie hanno dovuto convivere e che oggigiorno si ripropone nuovamente, rendendoci stavolta partecipi attraverso gli occhi di chi osserva.

Emidio Sciamanna

“VENUS” BY JAUME BALAGUERÓ

Article by: Emidio Sciamanna

Translated by: Noemi Zoppellaro

According to Mesopotamian mythology, the female demon Lamashtu was a devilish creature bringer of nightmares and diseases, who haunted unborn children by brutally ripping them out of their mother’s womb to feed on their blood. Venus, the latest feature by Jaume Balagueró, begins with a terrifying apocalyptic premonition: the reincarnation of the demonic figure is imminent and her coming will bring chaos and pain throughout the planet.

At the centre of the narrative is young Lucía, a dancer in an infamous nightclub run by a group of comically stereotyped criminals. One night, after stealing a big drug shipment from the gangsters, she miraculously manages to find shelter at her sister Rocío’s house, located in a building called Venus, in the decaying outskirts of Madrid. Venus – hence the title of the film – is a gloomy and mysterious place, home to dark presences that have been haunting the unfortunate residents for decades.

Loosely based on H. P. Lovecraft’s short story The Dreams in the Witch House, skilfully reworked by the Spanish director into a “horror story” with strong authorial connotations, Venus recalls in its structure the previous film, Muse, in which the paranormal subtly hovers against the background of an ordinary criminal investigation. Also in this case, the film crawls sinuously through the meanders of genre cinema, combining effectively sci-fi horror with gangster film, without ever becoming trivial or repetitive. Moreover, the caricatural element is intentionally emphasised, continuing the specific project on the grotesque that characterises the entire work of Balagueró.

This is definitely not the Spanish director’s masterpiece, however his ability to direct female figures is confirmed as excellent. In Venus, clearly inspired by Dario Argento’s characters, Lucía moves in a suffocating atmosphere, halfway between the nightmares caused by the demon and the oppressive reality of the daily life that the young woman must constantly face. For her, the building takes on a clear, although paradoxical, ambivalence: it is a prison that holds back her desire to dance, restricting her in a forced immobility caused by fear; but it is also a safe haven, a solid shelter to escape the demons that await her outside, the true nightmare of real life.

“VENUS” DI JAUME BALAGUERÓ

Secondo la mitologia mesopotamica, il demone femminile Lamashtu era una creatura diabolica portatrice di incubi e malattie, che prediligeva perseguitare i nascituri strappandoli con prepotenza dal ventre materno per nutrirsi del loro sangue. Venus, l’ultimo lungometraggio di Jaume Balagueró, inizia con un’agghiacciante premonizione apocalittica: la reincarnazione della figura demoniaca è ormai imminente e il suo avvento porterà caos e dolore in tutto il pianeta.

Al centro della narrazione troviamo la giovane Lucía, ballerina di un malfamato night club gestito da un gruppo di criminali comicamente stereotipati. Una notte, dopo aver rubato ai malavitosi un importante carico di droga, riesce miracolosamente a trovare riparo a casa della sorella Rocío, situata in un edificio denominato Venus nella decadente periferia di Madrid. Venus – da cui il titolo del film – è un luogo lugubre e misterioso, dimora di oscure presenze che da decenni affliggono i malcapitati inquilini del luogo.

Liberamente tratto dal racconto di H. P. Lovecraft, I sogni nella casa stregata, che il regista spagnolo rielabora abilmente in una “horror story” dai forti connotati autoriali, Venus ricorda per struttura il film precedente, La Settima Musa, in cui il paranormale aleggiava impercettibile sullo sfondo di una comune indagine investigativa. Anche in questo caso il film serpeggia sinuosamente tra i meandri del cinema di genere, amalgamando con efficacia l’horror fantascientifico e il gangster movie, senza mai risultare banale o ripetitivo. La componente caricaturale, inoltre, è consapevolmente enfatizzata continuando quel particolare lavoro sul grottesco che contraddistingue tutta l’opera di Balagueró.

Non si tratta certamente del lavoro migliore del regista spagnolo, eppure la sua capacità di dirigere le figure femminili si conferma eccellente. Caratterizzata da un’evidente ispirazione argentiana, la Lucía di Venus si muove in un’atmosfera soffocante, a metà tra gli incubi provocati dal demone e l’opprimente realtà della vita quotidiana che la giovane deve costantemente affrontare. Per lei l’edificio assume una chiara, seppur paradossale, ambivalenza: è una prigione, che limita la sua voglia di ballare imponendole una staticità obbligatoria attraverso la paura; ma è anche una zona sicura, un solido riparo per sfuggire ai demoni che l’attendono all’esterno, pronti a sfruttarla e gettarla via come spazzatura. Nonostante la presenza incombente di creature sovrannaturali e catastrofi cosmiche, per gli oppressi è dunque la società stessa a rappresentare la minaccia più terrificante, il vero incubo della vita reale.

Emidio Sciamanna

CHE COSA CI LASCIA QUESTO 2020?

Chissà se il 2020 potrà essere ricordato non come l’anno dello stallo imposto dal Covid-19, bensì come l’anno in cui abbiamo potuto farci più domande rispetto al futuro. Vale per tutti i campi, ma parlando di cinema questo è stato l’anno in cui non abbiamo potuto andare in sala, in cui molti eventi culturali sono stati cancellati, in cui abbiamo visto emergere lo strapotere incontrastato delle piattaforme audiovisive. E mentre si spegnevano le nostre quotidiane attività abbiamo dovuto chiederci: come sarebbe il mondo senza Cinema? Che cosa trovo in sala che a casa non ho? Frequenterei davvero tutti i festival che desidero se li avessi a portata di mano? Quanto vale un film quando non abbiamo più i numeri del botteghino a confortarci sul suo successo?

Continua la lettura di CHE COSA CI LASCIA QUESTO 2020?

TORNARE AL CINEMA DOPO L’EMERGENZA COVID-19

Dopo più di tre mesi di lockdown, il 15 giugno le luci dei cinema si sono riaccese. Era un giorno molto atteso, carico di speranze e di timori nell’illusione che con l’arrivo di questa data avremmo capito il futuro del cinema. Ma se già si parlava di crisi delle sale prima dell’emergenza Covid-19, come aspettarsi un evento straordinario per il giorno della riapertura? Sono stati infatti 116 gli schermi attivati, neanche il 10% sul totale di 1.218 presenti sul territorio. I film proposti sono stati 41, dei quali soltanto 8 sono state prime visioni al cinema di film già disponibili al pubblico attraverso piattaforme on demand, come Les Misérables e Favolacce.

Continua la lettura di TORNARE AL CINEMA DOPO L’EMERGENZA COVID-19

“MIDSOMMAR – IL VILLAGGIO DEI DANNATI” DI ARI ASTER

La protagonista di Midsommar – Il villaggio dei Dannati di Ari Aster è Dani (Florence Pugh), dottoranda di psicologia che dopo aver perso i suoi genitori e la sorella cerca rifugio nel suo ragazzo Christian (Jack Reynor). Lui è un aitante quanto accondiscendente e allo stesso tempo insicuro, se non inetto, studente americano di antropologia che, fin dall’inizio, mostra segni di insofferenza nei confronti della giovane, confondendo la sua malattia mentale con una ‘ricerca di attenzioni’. Un viaggio in Svezia organizzato da Pelle (Vilhelm Blomgren), amico di Christian, serve da palliativo al dolore della giovane che però viene invitata con ritrosia.

I protagonisti di “Midsommar” in un frame del film. Da sx a dx: Christian (Jack Reynor), Dani (Florence Pugh), Josh (William Jackson Harper), Pelle (Vilhelm Blomgren).

La forza di Midsommar è di riuscire a raccontare una storia dell’orrore senza dover ricorrere al buio, alle ombre, a ciò che non si vede: l’Hälsingland svedese, con le sue lunghissime giornate d’estate in cui la luce scompare solo per un paio d’ore, diventa un perverso panorama da cartolina in cui avvengono rituali d’iniziazione sanguinolenti, animaleschi, violenti in un culto di uomini e di donne, spesso costrette all’endogamia, sotto un’aura di apparente e candida tranquillità. Ari Aster compie un vero e proprio studio antropologico di questa comunità altera e ambigua: è capace di raccontare un universo in cui le norme sociali e religiose sono decise con una precisione chirurgica in cui, ad esempio, gli anziani si suicidano gettandosi da una rupe anziché sacrificare il loro corpo al passare del tempo, e le donne si intrattengono in una danza lunghissima, simile a un sabba stregonesco, che serve a decidere la “regina di Maggio”.

La scrittura e la direzione, che portano entrambe la firma di Aster, richiamano quel mondo opaco, buio e triste di Hereditary, suo primo film, e ne riprendono alcuni temi: il disagio mentale, la deformazione fisica, il rituale magico ma anche le modalità del racconto che inseriscono entrambi i film nella forma di slowburn horror movie, che muovono da ritmi molto dilatati per terminare con una violenta escalation di azioni orrorifiche e gore. Acclamato dalla critica, Midsommar utilizza mezzi ipnotici (chiarezza d’immagine, distorsioni ottiche, immagini capovolte, note e suoni di archi, flauti e fisarmoniche ripetuti) per attirare lo sguardo dello spettatore e coinvolgerlo nella sua storia di due ore e mezza: alla dissolvenza finale, quando il rituale tra film e spettatore si spezza, ci si domanda però se ciò a cui si è assistito sia stato realmente ‘originale’ o ‘mai visto’, soprattutto per la scelta di girare un horror alla luce del sole che in realtà è, forse, e soprattutto, una storia d’amore che finisce.

Foto promozionale del film “Midsommar”.

Infatti, non solo una storia simile è stata già raccontata con The Wicker Man da Anthony Shaffer e Robin Hardy nel 1973, ma alcune inquadrature e scelte di montaggio ricordano tanto Shining di Stanley Kubrick (il montaggio alternato tra le immagini dei genitori e quelle degli anziani sulla rupe ricorda quello delle gemelline vestite di azzurro), quanto il più recente Suspiria di Luca Guadagnino (la scena del sabba che richiama quella dell’analogo rito in onore di Mater Suspiriorum). Nonostante il gioco di citazioni e richiami, possiamo dire che il racconto di Midsommar si risolva, in fin dei conti, in una perversa vendetta nei confronti di un uomo che non sa amare e di una donna che ha perso la stabilità familiare e relazionale all’interno di una cultura straniera precisamente disegnata, spingendoci così a ragionare sulla questione delle tradizioni e degli stereotipi sulla diversità.

“UN RUBIO” DI MARCO BERGER

La peculiarità di Un Rubio dell’argentino Marco Berger, in concorso nella selezione lungometraggi della 34ma edizione del Lovers Film Festival, è sicuramente quella di costruire e mantenere attiva la tensione magnetica e sessuale dei suoi due protagonisti, Gabriel (Gaston Re), un trentenne taciturno, e Juan (Alfonso Baron), una versione più rude, e a tratti sporca, di un Adone mitologico.

Continua la lettura di “UN RUBIO” DI MARCO BERGER

Brooklyn by John Crowley

Article by: Giulia Conte

Translation by: Rita Pasci

Brooklyn, a drama directed by John Crowley and written by Nick Hornby, based on the novel of the same name by Colm Toìbin. It’s the moving story of Eilis Racey (Saoirse Ronan), a young Irish immigrant who, attracted by the promise of America, departs from Ireland leaving her family and her home to reach the coasts of New York City. The initial chains of homesickness quickly fade away and Eilis lets herself get lost in the intoxicating charm of love. Pretty soon, her liveliness is interrupted by her past, and this young woman will have to make a choice between the two countries and the two lives they involve. Continua la lettura di Brooklyn by John Crowley

Lo scambio (Nameless Authority) by Salvo Cuccia

Article by: Lorenzo Trombi

Translation by: Martina Taricco

Torino, November 23, 2015 – Lo Scambio, directed by Salvo Cuccia, is one of the four Italian movies which run in the main section of the 33rd Torino Film Festival.

The story is inspired by real events. The director wrote it after several meetings with Magistrate Alfonso Sabella, where the two had the chance to touch the subject of a mafia homicide in which three young boys were killed: two of them were, without any doubt, not tied to organized crime.

The first estranging element is that characters in this story do not have a name: this choice contributes to amplify the ambiguity of the plot. The whole sequence of events starts in media res with a series of crossfades of people walking in a normal city market. The music is deafening. Here, all of a sudden, two strangers appear on the scene and kill two young boys.

In the next scene the action moves on to a police station, where something does not completely persuade the audience. Although the badge of people who work in such place is shown many times, there are some elements, scattered all along the movie, which give to the public the feeling of not really being in a law seat. In a narrative climax, played on the edge of uncertainty and of the untold, is instilled the doubt that who serves the law might, actually, be a ruthless mafia boss. The proof of this comes shortly after, in a scene where a presumed chief of police, one of the protagonists, is shown, years before, while being questioned himself.

On a scenographical level, there is an interesting contrast between very austere house interiors and the exteriors of an extremely degraded Palermo. The interiors where a hypothetical Janus Bifrons moves, that is to say the chief of police who actually is a mafia boss, are rational and tied. It is however behind this formalism and this aseptic cure that a strong anguish feeling is hidden. The pitch is reached when the boss’ wife hangs herself as she can not live secluded in her own house, hunted by her demons.
Every character has its double; their psychologies are all shifty and cryptic: anyone could be anyone else. This choice made by the director is intended to focus the audience attention on the core of the events rather than on the personalities of the characters or on relational dynamics.
Everything in the movie is made essential; the story is apparently narrated in an impersonal way. The credo that is in force in this film is not siding with anyone.
These atmospheres enhance the feeling of indefiniteness and uncertainty in which a significant thematic crux is unraveled: what if the mafia has got the wrong person?

The chief of police questions a helpless surveyor who had the bad luck of being in the wrong place at the wrong time. The man is eventually killed, an eye-opening event which shows us how the mafia can sometimes get off track when deciding who has to be killed. By this stage of the film, as confirmed by the title, it seems very likely that there was a mistake and the man was mixed up with somebody else.
The several changes of the focus really strike the eye and add to the feeling of anxiety and oppression experienced by the characters in the film.
The decision to film a gunfight without actually showing it but presenting it to the audience in a fixed camera shot and through the gunshot sound is spot on.
Similarly, in a beating scene we don’t see people fighting but it is possible to understand what is happening thanks to the noise we hear and the shadows on the walls.
Cuccia’s notable work is structured as a moral story where all events are connected in a cause-effect relationship. He depicts a dry and cold story where everything is based on retaliation.