A bar, a few lights on: some dim colored neon-lights, the counter’s illumination, an old jukebox emitting a soft glare in a corner. Paul (Peter Outerbridge), the bartender, is about to close the place while outside in the night,a snowstormblows.All of a sudden Steve (RJ Mitte) bursts in,a wanderercarrying a story from a different bar, of a different bartender, of a different stranger brought there by the storm. From this first one, a lot more stories come up, while midnight approachesand someoneis relentlessly driving in the snow.
Un locale, poche luci ancora accese: qualche debole neon colorato, l’illuminazione del bancone, un vecchio juke-box che manda pigri bagliori da un angolo. Paul (Peter Outerbridge), il barista, si sta preparando a chiudere, mentre fuori è ormai notte e infuria una tempesta di neve. D’improvviso irrompe Steve (RJ Mitte), un viandante che porta con sé il racconto di un altro bar, di un altro barista e di un altro sconosciuto condotto lì dalla bufera. Da questa prima storia ne nascono molte altre, mentre la mezzanotte si avvicina e qualcuno guida inesorabile sotto la neve.
First work of the director Eugen Jebeleanu, Camp de Maci is inspired by a real event happened in 2013 in Bucarest, when a group of homophobic demonstrators interrupted some LGBTQ+ film screenings.
Diretto da Eugen Jebeleanu (al suo esordio cinematografico), Camp de Maci prende ispirazione da un evento realmente accaduto a Bucarest, nel 2013, quando alcune proiezioni di film LGBTQ+ vennero interrotte da gruppi di manifestanti omofobi.
Even before the images, there is a white light that suggests the coordinates for viewing the film. A light that invades the screen and appears as an eccentric substitute for black, on which the opening credits flow in reverse, from the top to the bottom, suggesting a backward path. This inverse motion is the spirit that moves Casa de antiguidades, the film of the Brazilian director João Paulo Miranda Maria that first looks at the past to talk about the present.
Una lenta panoramica accarezza la vastità del paesaggio montano dell’Appalachia; in lontananza una flebile esplosione destabilizza per pochi secondi la pace di quella visione paradisiaca. Tutto tace. Si apre così The Evening Hour, il nuovo lungometraggio di Braden King che, dopo nove anni dal successo di Here (2011), ritorna adattando per il grande schermo l’omonimo romanzo di Carter Sickels. Nella sua nuova opera, King privilegia uno sguardo più realistico sulla vita della periferia americana, depotenziando i classici stilemi narrativi del noir ed instillando, al contempo, una profonda riflessione sul destino di un’intera generazione: giovani disillusi nei confronti di un futuro inesistente, costretti a subire la pressione di un mondo che non concede alcuna via di fuga, se non quella di annegare nell’abisso della droga e della violenza.
A slow overview opens onto the mountain landscape of Appalachia; in the distance a feeble explosion destabilizes for a few seconds the peace of that vision of paradise. Everything is quiet. This is how The Evening Hour starts, the new feature film produced by Braden King who, after nine years from Here (2011), comes back adapting for the big screen the Carter Sickel’s novel of the same name. In his new movie, King focuses on the realistic life of American suburb, discouraging the classical stylistic noir narrative elements and instilling a deep reflection about the fate of an entire generation: young people feel disillusioned about a non-existent future, forced to suffer the pressure of a world that doesn’t give escape apart from becoming addicted to drugs and violence.
Every revolution opens the way to unlimited possibilities and presents a challenge to everyone’s ability to imagine a new future, hoping not to be let down. Let’s consider the example of the Haitian Revolution: almost simultaneous to the French one, it was the only slave insurgency that led to the establishment of an independent state, Haiti. The rest of its history is unfortunately known to be less glorious: a long, sad series of misfortunes, dictatorships, and economic and even natural disasters. More than two hundred years later, European directors Louis Henderson and Olivier Marboeuf come together with a group of Haitian actors to reflect upon the legacy of the Haitian Revolution through the story of one of its best-known protagonists, Toussaint Louverture. To tell his story they start from the ending, namely in France.
Ogni rivoluzione apre la strada a infinite possibilità e pone a ognuno l’ardua sfida di immaginare un nuovo futuro, sperando di non venire delusi. Si prenda come esempio la rivoluzione haitiana: quasi contemporanea a quella francese, fu l’unica rivolta di schiavi nella Storia a dare vita a uno stato indipendente, Haiti. Il resto della storia, come si sa, è purtroppo meno glorioso: una triste e lunga sequela di miseria, dittature, disastri economici e infine naturali. A più di duecento anni di distanza, i registi europei Louis Henderson e Olivier Marboeuf si uniscono ad alcuni attori haitiani per cercare di riflettere sull’eredità della rivoluzione haitiana attraverso la storia di uno dei suoi più celebri protagonisti, Toussaint Louverture. E raccontano questa storia partendo dalla fine, cioè dalla Francia.