Archivi tag: concorso documentari

“LE RETOUR DU PROJECTIONNISTE”, BY ORKHAN AGHAZADEH

Article by Ludovico Franco

Translation by Martina Marino

In the opening lines of Swann’s Way (or The Way by Swann’s), Marcel Proust remembers how, as a child, he loved watching the images projected by the magic lantern: out-and-out apparitions that told stories, like a wavering and ephemeral glass wall. On a foggy hilltop near the border with Iran, the silhouettes of a man and a boy on horseback stand out: the young boy is checking a laptop screen, trying to connect to the internet to purchase the necessary equipment to revive an old analog projector, unearthed by a former projectionist from the USSR. However, the essential element needed to make the magic lantern work is missing: the light, provided by a simple yet elusive lightbulb.

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“LE RETOUR DU PROJECTIONNISTE” DI ORKHAN AGHAZADEH

Nell’incipit della Strada di Swann, Marcel Proust ricorda come da piccolo amasse osservare le immagini proiettate dalla lanterna magica: vere e proprie apparizioni che raccontavano leggende, come in una vetrata vacillante e passeggera. Su un’altura avvolta nella nebbia al confine con l’Iran, si distinguono le silhouettes di un uomo e un ragazzo a cavallo: il giovane controlla lo schermo di un computer portatile, nel tentativo di connettersi alla rete internet e acquistare l’occorrente per riportare in vita un vecchio proiettore analogico, rispolverato da un ex proiezionista dell’URSS. Manca però l’elemento imprescindibile per far funzionare la lanterna magica: la luce, data da una semplice eppure introvabile lampadina.

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“I’M NOT EVERYTHING I WANT TO BE”, BY KLÁRA TASOVSKÁ 

Article by Giorgia Andrea Bergamasco

Translation by Vittorio Cavalli

I’m Not Everything I Want to Be is a biographical documentary in the second level: through the overlap of an extensive photographic archive and meticulously written personal diaries, the film retraces, step by step, from 1986 to the present day, the unceasing search for identity by Czech photographer Libuše Jarcovjáková.

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“I’M NOT EVERYTHING I WANT TO BE” DI KLÁRA TASOVSKÁ 

I’m Not Everything I Want to Be è un documentario biografico al quadrato: nella sovrapposizione di uno sconfinato repertorio fotografico e di diari personali minuziosamente redatti, il film ripercorre, tappa dopo tappa, dal 1986 a oggi, l’incessante ricerca identitaria della fotografa ceca Libuše Jarcovjáková. 

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“IN ULTIMO” BY MARIO BALSAMO

Article by Davide Lassandro

Translation by Giorgia Mazzù

A white corridor. A blinding, almost divine light. A choir of voices that seem to emanate from the beyond. Mario Balsamo introduces the Anemos hospice in Turin in his latest documentary, In ultimo—a concise yet poignant title that encapsulates the mission pursued with care and dedication by the hospice staff: guiding individuals toward understanding their illness and embracing that condition in which we all stand as equals. Every shot is overexposed and prolonged, a deliberate choice that transports the viewer into a suspended, timeless dimension entirely removed from ordinary reality.

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“IN ULTIMO” DI MARIO BALSAMO

Un corridoio bianco. Una luce accecante, quasi divina. Un coro di voci che sembrano provenire dall’aldilà. Mario Balsamo presenta così l’Anemos di Torino nel suo ultimo documentario, In ultimo, un titolo conciso ma efficace nel descrivere una missione che gli operatori dell’hospice perseguono con premura e dedizione: condurre le persone verso l’elaborazione della malattia e l’accettazione di quella condizione di fronte alla quale siamo tutti uguali. Tutte le inquadratura sono sovraesposte e prolungate, una scelta che trasporta lo spettatore in una dimensione sospesa, senza tempo e completamente estranea alla realtà ordinaria.

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“THE SILENCE OF LIFE” BY NINA BLAŽIN

Article by Alessandra Sottini

Translation by Federica Riccardi

On an ordinary day, Manca Košir explains to his family the secret of the enchanting cherry blossom: its beauty captivates the observer, but its brittleness and the passage of time make quickly fade that instant of wonder. The eternity of being is enclosed in the celebratory activity of life, day by day. Slovenian director Nina Blažin, who has experienced first-hand the loss of a loved one, feels close to the joyful and combative personality of the protagonist of The Silence of Life, filmed between 2019 and 2023.

A play on oppositions, or a lyrical oxymoron, seems to suggest the title of the film in competition in the international documentary section of the 42nd Turin Film Festival. The Silence of Life seems to tell us that silence is not always the only weapon available against the inevitability of death: stricken by throat cancer, Manca opposes this adverse destiny with specific speech exercises.

The Silence of Life (2024) di Nina Blažin

The camera probes and observes this woman who is as tenacious as she is aware of her condition. However, the documentary gaze is not ‘cooled down’ by the usual techniques of tailing and approaching, because it is Manca herself who makes the viewer live her story: despite the oppressive weight of time passing by, it is herself who inhabits the space with gestures and words and colours the atmosphere with her clothes (overall red, yellow and pink).

‘Death is part of our existence and we must take as such’. This is the indelible trace left by Manca Košir, then.

“THE SILENCE OF LIFE” DI NINA BLAŽIN

In un giorno come tanti, Manca Košir spiega alla sua famiglia il segreto dell’incantevole fiore del ciliegio: la sua bellezza cattura l’osservatore, ma la sua fragilità e lo scorrere del tempo fanno svanire velocemente quell’istante di meraviglia. L’eternità dell’essere, dunque, è conchiusa nell’attività celebrativa della vita, giorno dopo giorno. La regista slovena Nina Blažin, che ha vissuto in prima persona la perdita di una persona amata, si sente vicina alla personalità gioiosa e combattiva della protagonista di The Silence of Life, girato tra il 2019 e il 2023.

Un gioco di opposizioni, o un ossimoro lirico, sembra suggerire il titolo del film in concorso nella sezione documentari internazionali della 42ª edizione del Torino Film Festival. The Silence of Life sembra dirci che il silenzio non è sempre l’unica arma a disposizione contro l’inevitabilità della morte: colpita da un cancro alla gola, Manca contrasta questo destino avverso con specifici esercizi di pronuncia.

The Silence of Life (2024) di Nina Blažin

La macchina da presa indaga e osserva questa donna tanto tenace quanto più consapevole della sua condizione. Tuttavia, lo sguardo documentario non è “raffreddato” dalle consuete tecniche di pedinamento e di avvicinamento perché è Manca stessa a far vivere allo spettatore la propria storia: nonostante il peso opprimente del tempo che scorre, è lei ad abitare lo spazio con i gesti e le parole e a colorare l’ambiente con i suoi vestiti (predominano il rosso, il giallo e il rosa).

«La morte fa parte della nostra esistenza e dobbiamo prenderla come tale». Questa è dunque la traccia indelebile lasciata da Manca Košir.

Alessandra Sottini

“THE BRINK OF DREAMS” BY NADA RIYADH E AYMAN EL AMIR

Article by Lisa Cortopassi

Translation by Aurora Monteleone

In the opening image of The Brink of Dreams, we can see six girls running through a field. As in the case of the scene of three children walking in the Icelandic countryside from which Chris Marker’s Sans Soleil (1983) takes its cue, this moment also evokes the sensation of witnessing a dream, a vision of hope.

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“THE BRINK OF DREAMS” DI NADA RIYADH E AYMAN EL AMIR

Nell’immagine che apre The Brink of Dreams vediamo sei ragazze che corrono in un campo. Come nel caso della scena dei tre bambini che passeggiano nella campagna islandese da cui prende le mosse Sans soleil di Chris Marker (1983), anche qui si ha la sensazione di assistere a un sogno, a una visione di speranza.

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“IMMÉMORIAL, CHANTS DE LA GRANDE NUIT” BY BÉATRICE KORDON

Article by Lisa Cortopassi

Translation by Martina Bigi

Darkness, cold. A metallic melody and an off-screen voice introduce the spatial and thematic coordinates of Immémorial, Chants de la Grande Nuit. Legend has it that, in a primordial moment, the Gods tore the Night to reveal the “world of things.” This is how form, language, and day were created. Using this myth as a framework, Béatrice Kordon investigates on the “immemorial” time: a time that is both past and future, a time that leaves no trace and waves between death and birth, darkness and light.

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“IMMÉMORIAL, CHANTS DE LA GRANDE NUIT” DI BÉATRICE KORDON

Buio, freddo. Una melodia metallica e una voce fuori campo introducono le coordinate atmosferiche e tematiche di Immémorial, Chants de la Grande Nuit. Si racconta di un momento primigenio in cui gli Dei avrebbero squarciato la Notte per far emergere il «mondo delle cose». Così sarebbero nate la forma, la parola e il giorno. Servendosi del mito, Béatrice Kordon conduce un’indagine sul tempo “immemorabile”: un tempo che è tanto passato quanto futuro, che non ha traccia e che è in bilico tra la morte e la nascita, tra il buio e la luce.

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“HIGHER THAN ACIDIC CLOUDS” BY ALI ASGARI

Article by Alessandro Pomati

Translation by Laura Cattani

In Tehran a search is taking place inside a big house: men are rifling through drawers and closets, boxes of personal belongings are being taken away. Nothing we have not already seen in the context of the Iranian dictatorship. But there is one jarring detail: the owner of the searched house is sitting petrified on the couch, while his place would be elsewhere, in a director’s chair, for example, directing that short, chilling sequence shot capturing the search. That is Ali Asgari, impatiently waiting for the authorities to do their work in his apartment-atelier and leave him alone, at least for the time being.

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“HIGHER THAN ACIDIC CLOUDS” DI ALI ASGARI

All’interno di una grande casa di Teheran si sta svolgendo una perquisizione: uomini che frugano nei cassetti e nelle ante degli armadi, scatole di effetti personali che vengono portate via; nulla che non si sia mai visto nel contesto della dittatura iraniana. Ma c’è un dettaglio che stona: il proprietario della casa perquisita, seduto impietrito sul divano mentre il suo posto sarebbe altrove, su una sedia da regista, ad esempio, a dirigere quel breve e raggelante piano sequenza che immortala la perquisizione; si tratta di Ali Asgari, in impaziente attesa che le autorità svolgano il loro lavoro nel suo appartamento-atelier e lo lascino in pace, almeno per il momento.

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