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“THE ASSESSMENT” BY FLEUR FORTUNÉ

Article by Pietro Torchia

Translation by Giorgia Mazzù

Premiered at the latest Toronto International Film Festival, The Assessment is set in a dystopian near future where humanity is the primary cause of the world’s destruction and the driving force behind the climate changes that have ravaged it. In response to this catastrophic situation, an extreme measure has been taken: the creation of a semi-dictatorial society, a fabricated paradise where every action is controlled, and individuals—deemed incapable of managing their freedom—are now confined by a dense web of constraints. 

The story follows a couple (played by Himesh Patel and a surprising Elizabeth Olsen) who appear to enjoy an idyllic life in this regimented world, despite its bleak and impersonal atmosphere. Wide exterior shots reveal a barren landscape, and their futuristic villa exudes sterility, painted in the coldness of artificial colours. In this new, surreal, impersonal society, the couple wishes to have a child but must first pass an assessment: they are required to live with a woman (Alicia Vikander) who will evaluate their suitability to become parents.

The protagonists endure and overcome a series of trials that grow increasingly senseless and extreme. Set against an oppressive rhythm, the haunting soundtrack accompanies the couple through a spiral of madness, where free will is sacrificed in the name of a greater good and an ostensibly perfect society. Yet, one final choice remains: to continue living in an artificial world dominated by illusion and control, or to return to the scarred real world, but as free individuals.

Through its sci-fi lens, The Assessment tackles universal themes such as climate change and free will, while also addressing intimate and personal issues like motherhood. By drawing on genre conventions, it provokes thought and invites reflection on these pressing and timeless questions. 

“THE ASSESSMENT” DI FLEUR FORTUNÉ

Presentato in anteprima all’ultimo Toronto International Film Festival, The Assessment è ambientato in un futuro distopico non troppo lontano, in cui l’umanità è la principale responsabile della distruzione del mondo e la causa dei mutamenti climatici che lo hanno devastato. A questa situazione catastrofica è stata trovata una soluzione estrema: la creazione di una società semi-dittatoriale, un paradiso fittizio in cui ogni gesto è controllato, e le persone, evidentemente incapaci di gestire la propria libertà, sono ora strette in una fitta rete di vincoli.

La coppia protagonista (interpretata da Himesh Patel e da un’atipica Elizabeth Olsen) sembra vivere felicemente in un mondo ideale, nonostante l’atmosfera sia desolante e anonima: i campi lunghi degli esterni mostrano un paesaggio arido e la loro futuristica villa è asettica, dipinta dalla freddezza di colori artificiali. In questa nuova società impersonale e surreale, la coppia vorrebbe avere un figlio, ma ha bisogno di superare un esame: convivere con una donna (Alicia Vikander) che verifichi l’adeguatezza dei due partner a diventare genitori. 

I due protagonisti resistono e superano una serie di prove che diventano sempre più insensate ed estreme. Cadenzata da un ritmo angosciante, la colonna sonora accompagna la coppia in una spirale di follia, in cui il libero arbitrio è messo da parte in nome di un bene superiore e di una società apparentemente perfetta. Eppure, un’ultima scelta è ancora possibile: continuare a vivere in un mondo artificiale nel quale la finzione e il controllo sono padroni, oppure tornare nello sfregiato mondo reale, ma da uomini liberi.

Attraverso la fantascienza, The Assessment affronta temi universali come il cambiamento climatico e il libero arbitrio, ma anche questioni intime e private come la maternità, riuscendo così a ricorrere agli stilemi di genere per innescare un’interessante riflessione.

Pietro Torchia

“THE BLACK SEA” BY DERRICK B. HARDEN AND CRYSTAL MOSELLLE

Article by Orazio Oztas

Translation by Martina Perrero

The American Dream is a central theme in American cinema. “Dreamers” manifest themselves in different forms: on the one hand, character groups, such as those of Martin Scorsese and Francis Ford Coppola, whose mafia gangs offer a stark depiction of the lust for wealth and success; on the other hand, lonely dreamers, individuals willing to go to any lengths to pursue great ideals. However, stories that reflect the American Dream outside United States’ borders are often overlooked, demonstrating how these universal aspirations transcend cultures and geographies. Moreover, there are narratives inspired by this theme that do not resort to exaggeration but achieve a sober and realistic balance.

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And it is in the film The Black Sea that these dynamics become most prominent. The protagonist, Khalid, a young African American man with high ambitions, dissatisfied with his job at a bar in Brooklyn, decides to quit after being contacted by a Bulgarian woman on Facebook, who offers him ten thousand euros to spend time with her. However, upon his arrival in the Balkans, he discovers that the woman is deceased, thus initiating his financial exile in an unfamiliar land. Directors Derrick B. Harden and Crystal Moselle follow the journey of Khalid, played by Harden himself, as he tries to integrate into a foreign community, exploring themes of individual aspiration and loneliness, similar to those addressed by Kubrick in Barry Lyndon. The adjustment process in the small town bathed by the Black Sea, which the film’s title refers to, proves to be complex; Khalid must take any available job to survive. His situation has drastically changed: necessity now guides his choices. However, he develops a friendship with a Bulgarian woman, and together they manage to merge their ambitions; this will allow them to find a balance that will enable them to achieve their desired success without erupting into conclusions of ethical and moral decay.

“THE BLACK SEA” DI DERRICK B. HARDEN E CRYSTAL MOSELLLE

L’American Dream è un tema centrale nel cinema americano. I “dreamers” si manifestano in diverse forme: da un lato, i gruppi di personaggi, come quelli di Martin Scorsese e Francis Ford Coppola, le cui gang mafiose offrono una rappresentazione cruda della brama di ricchezza e successo; dall’altro, i solitari sognatori, individui disposti a superare ogni limite per perseguire ideali grandiosi. Tuttavia, spesso si trascurano le storie che riflettono l’American Dream al di fuori dei confini statunitensi, dimostrando come queste aspirazioni universali trascendano culture e geografie. Inoltre, esistono narrazioni ispirate a questo tema che non ricorrono all’esagerazione, ma raggiungono un equilibrio sobrio e realistico.

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Ed è proprio nel film The Black Sea che queste dinamiche si evidenziano con maggiore rilevanza. Il protagonista Khalid, un giovane afroamericano con grandi ambizioni, insoddisfatto del suo lavoro in un bar di Brooklyn, decide di licenziarsi dopo essere stato contattato da una donna bulgara su Facebook, che gli offre diecimila euro per trascorrere del tempo con lei. Tuttavia, scopre al suo arrivo in territorio balcanico, che la donna è deceduta, avviando così il suo esilio economico in terra sconosciuta. I registi Derrick B. Harden e Crystal Moselle seguono il percorso di Khalid, interpretato dallo stesso Harden, mentre cerca di integrarsi in una comunità estranea, esplorando temi di aspirazione individuale e solitudine, simili a quelli affrontati da Kubrick in Barry Lyndon. Il processo di adattamento nella cittadina bagnata dal Mar Nero, a cui si rifà il titolo del film, si rivela complesso; Khalid deve trovare qualsiasi lavoro disponibile per sopravvivere. La sua situazione è drasticamente cambiata: ora la necessità guida le sue scelte. Tuttavia, sviluppa un’amicizia con una donna bulgara e insieme riescono a fondere le loro ambizioni, questo permetterà loro un equilibrio che gli consentirà di realizzare il successo desiderato senza sfociare in conclusioni di disfacimento etico e morale.

Orazio Oztas

“UNDER THE GREY SKY” BY MARA TAMKOVICH

Article by Davide Lassandro

Translation by Federica Lozito

After directing a series of short films focusing on socio-political issues, Mara Tamkovich makes her debut with her first feature film, evocatively titled Under the Grey Sky, which takes the viewer back to the events following the 2020 Belarusian elections and the events in Square of Changes in Minsk, where riot police attacked unarmed protesters during a peaceful demonstration after Lukashenko’s proclamation, resulting in arrests and violence.

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“UNDER THE GREY SKY” DI MARA TAMKOVICH

Dopo una serie di cortometraggi incentrati su questioni politico-sociali, Mara Tamkovich esordisce con il suo primo lungometraggio dall’evocativo titolo Under the Grey Sky che riporta lo spettatore alle vicende seguite alle elezioni bielorusse del 2020 e ai fatti di Piazza del Cambiamento a Minsk dove, dopo la proclamazione di Lukashenko, durante una manifestazione pacifica la polizia antisommossa attaccò i manifestanti inermi compiendo arresti e violenze.

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“TERRA INCOGNITA” BY ENRICO MASI

Article by Francesca Strangis

Translation by Giorgia Mazzù

Asleep on the grass, a man and a woman are awakened by the sound of screeching metallic noises. The man climbs a slight hill, driven by curiosity to see what lies beyond. On the other side, the world of technology: towering electric pylons and industrial plants dominate the view. The opening sequence of Terra Incognita (‘Unknown Land’) serves as a metaphor for the film itself, which explores the themes of energy supply and humanity’s survival on Earth through two opposing perspectives.

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“TERRA INCOGNITA” DI ENRICO MASI

Addormentati sull’erba, un uomo e una donna vengono risvegliati da suoni metallici stridenti. L’uomo sale su una lieve altura, spinto dalla curiosità di vedere oltre. Dall’altra parte, il mondo della tecnologia: tralicci elettrici e impianti industriali si ergono ingombranti alla vista. La sequenza di apertura di Terra incognita è metafora del film stesso, che, attraverso due prospettive opposte, tratta il tema dell’approvvigionamento energetico e della sopravvivenza dell’uomo sulla terra.

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“DUINO”, BY JUAN PABLO DI PACE AND ANDRÉS  PEPE ESTRADA

Article by Alessandra Sottini.

Translation by Irene Pezzini.

(Sexual) identity and love. When these planes of emotional and subjective experience intertwine with each other during adolescence, inevitably everything becomes amplified and confused. And when the awareness that comes with maturity, you either come to terms with yourself or you remain in a limbo.

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“DUINO” DI JUAN PABLO DI PACE E ANDRÉS PEPE ESTRADA

Identità (sessuale) e amore. Quando questi piani dell’esperienza emozionale e soggettiva si intrecciano durante l’età adolescenziale, inevitabilmente tutto si amplifica e diventa confuso. E con la presa di coscienza della maturità, o si viene a patti con se stessi oppure si permane in un limbo.

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EASTWOOD & EASTWOOD

I cinquant’anni di carriera di Clint Eastwood sono l’oggetto del documentario Clint Eastwood: A Cinematic Legacy firmato Gary Leva e commissionato dalla Warner Bros. Leva ha ricostruito sullo schermo la lunga carriera di uno degli ultimi grandi registi classici del cinema americano, passando per la molteplicità dei generi che ha affrontato e per un’analisi del suo metodo di lavoro. Montaggio invisibile, autenticità del racconto e personaggi che diventano eroi per caso sono l’emblema del cinema di Eastwood. 135 minuti in cui ripercorriamo la sua carriera, dal suo debutto televisivo alle collaborazioni con Siegel e Leone, dalle prime esperienze di regia fino a oggi.

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“SING 2 – SEMPRE PIÙ FORTE” DI GARTH JENNINGS

Ad aprire la trentanovesima edizione del Torino Film Festival è Sing 2 – Sempre più forte scritto e diretto da Garth Jennings, in anteprima internazionale. In questo nuovo capitolo Buster Moon e i suoi amici intraprendono un viaggio che dalla piccola realtà del Moon Theatre li porta nella sfavillante Redshore City in cerca di una nuova avventura, una nuova possibilità per provare al mondo il loro valore guadagnandosi uno spettacolo al Crystal Tower Theatre. Anche se in un primo momento ottengono ciò che desiderano grazie all’insperato favore del destino, presto vengono travolti dalle difficoltà che si nascondono dietro ogni angolo. A complicare il tutto poi, c’è la “piccola” bugia detta da Moon per apparire migliore agli occhi del magnate che deve produrre lo spettacolo e che lo porterà a rischiare ben più del raggiungimento dei suoi obiettivi confrontandosi con la realtà di un settore competitivo e, talvolta, crudele.

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“PRÉLUDE” DI SABRINA SARABI

Con il suo primo lungometraggio, la regista Sabrina Sarabi presenta in concorso al Torino Film Festival un film che soltanto all’apparenza rientra nella categoria del classico coming of age adolescenziale.

David (Louis Hofmann) è un giovane pianista che studia in un prestigioso conservatorio assistito dalla fredda e rigorosa professoressa Matussek (Ursina Lardi). Per realizzare il sogno di entrare alla famosa Julliard School, si sfianca esercitandosi anche 8 ore al giorno. Il suo già fragile equilibrio è scosso quando nella sua vita entra una coppia di ragazzi, Walter (Johannes Nussbaum) e Marie (Liv Lisa Fries) con i quali stringe subito un’ambigua amicizia. Dopo aver sottratto la ragazza all’amico, David inizia con lei una storia d’amore che finisce subito per trascurare a causa di uno studio maniacale che ne condiziona l’intera vita.

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“PRÉLUDE” BY SABRINA SARABI

Article by: Silvia Gentile
Translated by: Lucrezia Villa

Director Sabrina Sarabi’s first feature film, in competition at Torino Film Festival, on the surface seems to belong to the traditional coming-of-age films.

David (Louis Hofmann) is a young pianist, who studies at a prestigious music academy tutored by cold and strict Professor Matussek (Ursina Lardi). In order to achieve his dream and be accepted into The Juilliard School, he spends up to eight hours a day practicing without rest. When he meets Walter (Johannes Nussbaum) and Marie (Liv Lisa Fries), a couple with whom he soon after forms an uncommon friendship, his already fragile mental state gets affected. After stealing his friend’s girlfriend, David gets romantically involved with Marie, however, he devotes himself to piano only, and his lack of commitment to their love story causes it to come to an end abruptly. 

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“TITO” DI GRACE GLOWICKI

Già protagonista del film in concorso Raf (Harry Cepka), Grace Glowicki partecipa al Torino Film Festival anche in veste di regista con il suo primo lungometraggio, Tito.

Tito (interpretato dalla stessa Grace Glowicki) è un disadattato, un emarginato che, dopo aver subito una violenza, vive isolato nella sua casa arredata con un mobilio essenziale, perseguitato da suoni terrificanti e immaginari mostri che sembrano essere in agguato ovunque lui si trovi, tormentato da un malessere fisico che gli impedisce anche di mangiare. All’improvviso appare nella sua casa un “friendly neighbour” (Ben Petrie) – come viene presentato nei titoli di testa – che parla senza sosta, lo nutre, gli fa assumere sostanze stupefacenti e sembra, per un istante, sottrarlo alla sua solitudine e paura, prima di rivelarsi come un altro dei suoi carnefici.

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“TITO” BY GRACE GLOWICKI

Article by: Silvia Gentile
Translated by: Chiara Franceskin

Not only as the protagonist in the film Raf (Harry Cepka), Grace Glowicki also participates in Torino Film Festival as a director with her first feature film, Tito.

Tito (interpreted by Grace Glowicki herself) is a misfit, an outcast who, after having suffered violence, lives isolated in his house with sparing furniture. He is haunted by scary sounds and imaginary monsters that seem to be in ambush wherever he is. Tito is also tormented by a physical illness that prevents him even from eating. Suddenly a “friendly neighbour” (Ben Petrie) – as he is presented in the opening credits – appears in his house. He talks incessantly, and Tito feeds him, makes him take drugs, and, for a while, he seems to get him out of his solitude and fear, but actually he will reveal himself as another of his executioners.

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High Rise by Ben Wheatley

Article by: Lorenzo Trombi

Translation by: Roberto Gelli

The movie is the screen adaptation of the novel High Rise, written by James Graham Ballard. Jeremy Thomas, winner of the Academy Award, had been interested for year in making a film from Ballard’s novel but he only succeeded in producing it in 2014.
After showing a preview of High Rise at Toronto International Film Festival, the film was presented at San Sebastián International Film Festival and now it arrives at TFF within Festa Mobile section, reserved to non-competing films and unreleased films in Italy, which represent the best international movie production.
The movie is rich in rather interesting visual solutions such as the different kinds of oppressive verticality related to the skyscraper itself, where the story takes place. These are well conveyed by oblique and sloping framing or by the protagonist movements surrounded by the lift’s mirror but the film is not able to completely overcome the difficulties to cinematographically render situations and atmospheres implied in Ballard’s novel, in which we find different levels.
The screen challenge was perhaps to shape that metaphor of modern society, where everyone has the same role of tormentor and victim. The represented microcosm is located in a skyscraper, which offers every kind of thing people may need.
Most of the characters never leave the building except for the new surgeon, the protagonist Robert Laing, who in the first part of the film goes out to work. But in the end, after the tumultuous events have ceased, we will see him starting his professional activity within the skyscraper.
Often, the residents are referred to by mentioning their room numbers, as it happens in the dialogue between Laing and the architect during the squash match. This is clearly a sort of obsessive depersonalization.
Let’s step back and have a look at the plot. It all starts with the new surgeon moving in a luxury flat in the skyscraper. It won’t be long till he realizes the social distribution taking place throughout the building: the poorer classes live downstairs while wealthy people stay upstairs. The architect even invites him to visit his extra luxury attic but Laing looks indifferent and he only seems to be interested in seducing women.
During a blackout things become chaotic and everyone starts to understand that the more they go upstairs, the better they feel. This “physical” rise corresponds to a “moral” transformation: the majority of them become greed and fight with one another. One of the main female characters explains to her husband her sense of suffocation and tells him that she would like to enjoy the same light that those in the upper floors have at their disposal. Documentary filmmaker Richard Wilder heads the uprising with the aim of killing the architect.
In the last scenes we hear a speech saying that capitalism will never allow political liberty.
However, the film mood is oppressed by a script, which sometimes aims to be overfilled with facts and dynamics. The characters take themselves too much seriously and there is a lack of whatever possible temporary break out and lightness, which could reduce its general claustrophobia. Almost all of the film is made of internal shooting.
There are a lot of narrative premises in the movie but their developments lead too much towards a dead end track.
For sure, High Rise is worth seeing again, in order to ponder its content.