Los Angeles. Un impacciato e vulnerabile ragazzo (Dustin Hoffman) galleggia in mezzo alla piscina del giardino di casa nascondendo l’angoscia per il futuro dietro un paio di occhiali scuri. Ma la musica che sentiamo (The Sound Of Silence di Simon & Garfunkel) rivela il suo sgomento davanti alla vita che ha già trascorso e a quella che l’attende. Benjamin Braddock, figlio dell’agiata middle class californiana, neolaureato alla Berkeley University, basso e bruttino, goffo e insicuro, ha sempre la stessa espressione e non si separa mai dalla sua adorata automobile, una Duetto Alfa Romeo che farà epoca. In realtà, l’apparente inerzia di Ben, che lo farà finire tra le braccia e le lenzuola dell’annoiata quanto avvenente Mrs. Robinson (Anne Bancroft), nevrotica amica dei suoi genitori, si rivelerà essere molto più consapevole e lucida di quanto non sembri. Continua la lettura di “The Graduate” (“Il laureato”) di Mike Nichols→
San Francisco. Harold Caul (Gene Hackman) è un tecnico della sicurezza specializzato in intercettazioni. Espertissimo in spionaggio elettronico, trascorre la vita nel più totale isolamento per potersi immergere completamente negli incarichi che gli vengono affidati, riducendo al minimo il contatto con il prossimo e troncando sul nascere ogni possibile rapporto interpersonale. Assorbito totalmente dalla propria professione, scopre a poco a poco che la razza umana è capace di azioni terribili, inimmaginabili. Azioni che in passato l’hanno profondamente sconvolto, rendendolo incapace d’interessarsi minimamente a ciò che registra. Gli importa solo che la registrazione sia perfetta, il suono “pulito”. Incaricato di spiare quella che pare essere una relazione extraconiugale, si ritrova ben presto catapultato al centro di una torbida vicenda più grande di lui, capace di soffiargli via quel poco di dominio che aveva su un’esistenza precaria, fatta di assoli musicali e pezzi di vita altrui… Continua la lettura di “The Conversation” (“La conversazione”) di Francis Ford Coppola→
A press conference is often a useful instrument for getting rid of any doubts about a film. “La sapienza” is undoubtedly one of those films that must be discussed a lot, whether for its techniques, its narration or the recitative style of its actors. It is a film in which each shot represents a room (in fact the underlying theme is architecture) and each actor talks with themselves without interacting with the others. Each line is pronounced clearly and it represents a struggle rather than a sentence with a meaning. It is a kind of cinema that may not please people.
“E lasciatemi divertire!” avrebbe detto Aldo Palazzeschi. La stessa cosa direbbe Sion Sono quando, una delle sue “ultime” fatiche (la sua prolificità è di almeno due, tre film l’anno) viene accolta nei festival internazionali in maniera bipolare: da una parte applausi e passione degli ammiratori; dall’altra la fredda perplessità (se non proprio disgusto) dei suoi detrattori.
Il film in questione è Tokyo Tribe, una Grand opéra rap nipponica che mescola suggestioni tratte dal manga di Inoue Santa, da Walter Hill, dal primo Takashi Miike, dai videogames, da John Woo, dal cinema di arti marziali che fu masticato e sputato nel gusto citazionistico tarantiniano.
Assistiamo alla delirante guerra scatenata da Lord Buppa, capo dei capi delle bande criminali di Tokyo, asserragliate in ghetti-fortezze e in perenne lotta fra di loro. Con un pretesto futile, Buppa decide di provocare una personale Notte dei cristalli assoldando le Felpe Nere della Wusa e due misteriosi mercenari. Per fermarlo le altre bande decidono di appianare i conflitti che le hanno sempre separate e dare il via a una battaglia finale.
Coloro i quali amano il cinema di Sion Sono si trovano in una posizione difficile. Da una parte ci si abbandona alla visione di geniali trovate registiche (una su tutte l’incipit: un lunghissimo piano sequenza che segue il narratore, si sofferma su personaggi di varia umanità e mostra l’ambiente partendo da due ragazzini che giocano con dei petardi), dall’altra si rimane perplessi davanti all’eccessiva lunghezza di un musical folle dove lunghi piani sequenza accompagnano canzoni che hanno tutte lo stesso ritmo, lo stesso uso eccessivo dei bassi, le stesse rime martellanti come colpi di cannone sulle tempie. Inoltre gli interpreti paiono completamente incapaci di dare un senso e un pathos ai loro personaggi superando il limite della caricatura.
Non bisogna però dimenticare che, comunque, si tratta di un cine-fumetto alla giapponese (manga vuol dire appunto questo) e in Giappone è consuetudine lasciare i personaggi dei film ispirati ai manga su un piano assolutamente inverosimile. Le emozioni sono parodie di reali emozioni, tutto è eccessivo, esagerato, grottesco, delirante, barocco, caleidoscopico. È da questa parte che sta il lato migliore del film, soprattutto se a maneggiare questa dinamite c’è un regista che ha fatto dell’eccesso, della violenza, dell’ironia disarmante e grottesca il suo marchio di fabbrica: non si possono dimenticare il sanguinario pamphletSuicide Club, la sofferenza esistenziale di Guilty of Romance, i deliri di Strange Circus.
Tutto è luccicante, i colori accesi, la macchina da presa compie novimenti vertiginosi nei budelli più sporchi e degradati di Tokyo dove il sesso è esibito e i gangsters sono folli, violenti e sadici. Lo sguardo dell’autore si muove in modo sinuoso come un serpente che entra nella tana del coniglio per a morderlo, stordirlo, avvolgerlo nelle sue spire, fagocitarlo e vomitarne i resti. Di certo il musical “alla” Sion Sono può piacere o non piacere, ma certamente riesce a sopraffare lo spettatore più accanito che non riuscirà a dimenticarlo. La preda è stata fagocitata. Sion Sono non si dimentica, e lui basta questo: “…e lasciatemi divertire!!!”
Una conferenza stampa è strumento utile per fugare i dubbi riguardo ad un film. La Sapienza è indubbiamente una di quelle opere su cui si dovrebbe discutere parecchio, a livello linguistico, narrativo e soprattutto recitativo. Ogni inquadratura è una stanza (è un caso che il filo conduttore sia l’architettura?) e gli attori non interagiscono tra di loro, ma parlano con se stessi. Ogni battuta è ben scandita e assomiglia più a una dichiarazione che ad un elemento di dialogo. Continua la lettura di “LA SAPIENZA” DI EUGÈNE GREEN – CONFERENZA STAMPA→
‘Per tutta la vita’ is the first film in this section curated by Paolo Virzì. The main theme of the film is divorce, examined from different points of view. The director Susanna Nicchiarelli (already established for two feature films, in particular Cosmonauta in 2009) decided to deal with this social phenomenon for the anniversary of the referendum in 1974, which led Italy to take sides on whether to legalize or not divorce.
The documentary treats this theme on various ways, though focusing the attention on personal stories represented on the screen. In fact, the protagonists are more or less common people reporting their opinion of divorce, according to their “skills” and experiences.
Monica, a zoologist, talks about monogamy in several species, starting with birds, passing for wolves and monkeys, up to human beings. Silvio, a divorce lawyer, describes the legislative and technical aspect of it. Although, as his wife Sveva, steps in his talk, he lets himself go in most personal confessions. Guido and Paola, parents of the fitter of the documentary, recall the history of their love at first, then their marriage and finally divorce.
The interviews alternate with family filmstrips of director Nicchiarelli (narrated in voiceover by his parents, still happily married) and original shoots from Rai archives. The last ones show old electoral slogans of politicians Berlinguer and Fanfani and some advertising pro-divorce starring Gianni Morandi and his family.
This mixture of evidences and sources highlights the desire of the director to find out the real meaning of marriage and divorce, also underlining how that meaning changed in time.
Is monogamy a natural or a social fact? Does the woman manage to break free from her role of mother and wife after the referendum? These questions do not need to an answer because the aim is pay attention to these and, through this document, research events and opinions, which help to developing a clear viewpoint.
The atmosphere is unique, both deep and personal, as it involves the participation of relatives and friends of the director. During the vision of her wedding shoot, Nicchiarelli’s mother states with clear awareness that divorce acquired real meaning only when women understood their freedom and their own social role, which was unimaginable before 1974.
In the end, she adds that the expression “per tutta la vita” (“for a whole life”), after 1974, changed its meaning from absolute to relative.
Il filo conduttore di Per tutta la vita, primo film della sezione curata da Paolo Virzì, è il divorzio, declinato sotto diversi punti di vista.
L’occasione che ha portato la regista Susanna Nicchiarelli (già affermatasi per due lungometraggi e in particolare per Cosmonauta nel 2009) ad occuparsi di questo fenomeno sociale è stato l’anniversario del Referendum che nel 1974 portò l’Italia a schierarsi a favore o contro il divorzio.
The Italian section of TFF DOC opens with ‘Habitat – personal notes’ (Habitat – Note personali), with which Emiliano Dante returns to the festival after his debut, five years ago, with Into the blue.
His goal is the same: to film the urban tragedy of L’Aquila. The main characters are the director himself and his former tent-mates: Alessio and Paolo.
Emiliano lives in one of the houses built by “project C.A.S.E.”. His girlfriend, Valentina, still lives in her old house; Alessio is a real estate agent and lives with Gemma in a house where they pay a low rent, since the earthquake damaged it. Paolo, who has become a painter after the tragedy, does not know what to expect from his life and from his daughter’s birth.
Everyone opens up sincerely to their friend Emiliano, behind the camera, without filters or victim complex: they are just hopeless. They are afraid of this ghost city, and some of them have tried to follow their friends, emigrating; but something has made them come back. “What do you dream of, Emiliano?” is a question that seems to look at the future, but it is actually the same old nightmare: the earthquake.
A peculiar documentary that does not open with a banal overview of the city ruins, but with the characters driving the 14 kilometers that separate them from the city. The new houses were built quite far from L’Aquila, in order to ease the reconstruction of the city center; but the clothes hanging from the balconies reveal that the clock has stopped on April 6, 2009.
A black and white movie to represent a city forgotten by the media, where there is nothing left to do. Emiliano Dante, producer, director, scriptwriter and actor reveals the loneliness and the dereliction still felt in L’Aquila. “I don’t want to conclude with an overview of the torchlight procession in memory of the tragedy” says the main character, “because here in L’Aquila we feel lonely”. A sincere and intimate look, far from a political critique.
Si apre la sezione del TFF Italiana Doc con Habitat – Note personali, con cui Emiliano Dante ritorna al Festival dopo aver esordito cinque anni fa con Into the Blue.
Il suo obiettivo è sempre lo stesso: mettere in scena il dramma dell’Aquila. Protagonisti sono lo stesso regista e i suoi due ex compagni di tenda: Alessio e Paolo. Emiliano vive in una delle abitazioni del Progetto C.A.S.E. ed è fidanzato con Valentina che invece vive ancora nella sua casa originaria; Alessio fa l’agente immobiliare e vive con Gemma in una casa dall’affitto bassissimo perché ex terremotata e circondata dalle macerie; infine Paolo, diventato pittore dopo la strage, non sa cosa aspettarsi dal domani e dalla nascita della figlia.
Sfondo nero, assolo di batteria. Campo lungo su un ragazzo che si sta esercitando in una stanza in fondo al corridoio. La macchina da presa lentamente si avvicina.
È così che inizia Whiplash di Damien Chazelle. Il ragazzo in fondo al corridoio è Andrew (Miles Teller) e il suo obiettivo è quello di diventare uno dei più grandi batteristi del secolo. Non è un tipo modesto, ma d’altronde per tenere testa a Terence Fletcher (J. K. Simmons), l’insegnante che dirige la jazz band dello Shaffer Conservatory, il più prestigioso d’America, ci vuole stoffa, spina dorsale e soprattutto talento. Fletcher è infatti famoso per i suoi metodi d’insegnamento poco ortodossi: tirare uno schiaffo o un piatto in faccia a uno studente non è infatti una prassi inusuale nella sua classe. In caso di polemiche ha la giustificazione sempre pronta: Charlie “Bird” Parker non sarebbe diventato un grandissimo sassofonista se durante una sessione di prove, quando era ancora giovane, Jo Jones, un famoso batterista jazz, non gli avesse tirato, appunto, un piatto in faccia, per rendergli l’idea di quanto ancora potesse migliorare. Fletcher è fermamente convinto che una persona dotata di talento non si farebbe scoraggiare dai suoi folli metodi. “A dirigere è bravo qualunque coglione, cazzo basta muovere le dita a tempo, io sono qui per spingere le persone oltre le loro aspettative”.
Normandia, Francia. Una coppia di novelli sposi si trasferisce in un piccolo paese in cerca di pace, serenità e tutte le altre promesse della vita di campagna. Lei si chiama Gemma, Gemma Bovery (Gemma Arterton), pronuncia all’inglese. La monotona vita del loro vicino di casa, il panettiere Martin Joubert (Fabrice Luchini), viene improvvisamente sconvolta dall’arrivo di quella che potrebbe essere l’incarnazione della suo personaggio letterario preferito. La fantasia del fornaio si scatena: come non leggere nel nome, nei modi e persino nel destino della donna un fantasma dell’eroina di Flaubert?
Normandy, France. A newlywed couple moves to a small town looking for peace, serenity and all the other things that country life can offer. Her name is Gemma, Gemma Bovery (Arterton), English pronunciation. The monotonous life of their neighbour, the baker Martin Joubert (Luchini), is suddenly turned upside down by the arrival of what could be the incarnation of his favourite literary character. The fantasy of the baker is unleashed: how could he not see the ghost of the heroine of Flaubert in the name, in the manners and even in the fate of that woman?
After Coco avant Chanel and Two Mothers, the French director deals with a graphic novel by Posy Simmonds, author of Tamara Drewe (similarly taken from Far from the Madding Crowd), whose film version stars the same actress.
Adaptations of Madame Bovary are as countless as various. Jean Renoir, Vincente Minnelli, Claude Chabrol are just some of the directors that dealt with the book, up to the very recent and still not distributed version of Sophie Barthes with Mia Wasikowska.
But this is the first film being directed by a woman. It is a curious case, since almost every shot — at least those including magnetic Arterton — are viewed and filtered through the eyes of Martin. During the press conference of November 22nd in Turin, the director explained how our gaze is encouraged to merge with that of the baker. The simplest gestures, like eating a piece of bread, smelling its crust and mixing the dough become brief moments of delight. The actress is amazing: we never doubt the attractive force she exerts, almost unconsciously, on every man that crosses her path, gravitating around her. Luchini’s eyes widen as he only knows how to do, stunned in front of the sensual movements of the woman. And we are stunned as much as he is.
This is a light and brilliant comedy, but from the beginning we have an inkling of the tragedy. We anxiously follow the life of Gemma, convinced that the tragic fate of Madame Bovary would inescapable fall on her. We flinch at the word “arsenic”. We sigh during the date with the young lover. We delude ourselves that it can end up differently.
Like Martin, we are forced to watch powerless the gradual unfolding of a story that is already written and that we cannot change. The clumsy attempts of the baker to separate Gemma from her lover — not to mention those aimed to protect and warn her — are, in fact, useless.
Anne Fontaine modernizes the timeless story of a bored woman, successfully delves her character in what it has become an archetype.
The film is genuine, funny, gentle. The portrait of a woman of incredible beauty.
We are once again in France in the 1920s, but Allen takes us to the French Riviera instead of Paris.
Wei Ling Soo is the most famous magician of the moment, but when he takes the clothes of illusionist off is in fact Stanley Crawford (Colin Firth), a young arrogant Englishman who hates those who boast of having special skills as mediums. Howard, a longtime friend of his, convinces him to go to France to learn and reveal the truth of the prophecies of the young and beautiful Sophie Baker (Emma Stone). Will Stanley manage to unmask the girl? What happens in Catledge is a real series of magical events that will involve all the characters.
Magic in the Moonlight is a romantic comedy, with all the personal and professional complications that hail from it.
Luxury settings, a good care in the choice of the location, the typical clothes of the “jazz age“, all these are perfect elements for the great success of this new film. Stanley has the typical features of a Woody Allen character: he is extravagant and in constant search for love and for a stable and satisfying relationship.
Allen is well known for his comedies full of irony and their brilliant lines and, even in this work, he does not spare us laughs and twists. He portraits a very romantic Europe, that is full of stereotypes and grotesque elements that we appreciate so much and that we have seen in previous works like Midnight in Paris and Vicky Cristina Barcelona.
The soundtrack is perfectly in tune with the landscapes of the French Riviera, giving the idea of a union that amuses and involves us from the beginning until the ninety-eighth minute of the film.
Ancora una volta Woody Allen ci porta nella nella Francia degli anni Venti, ma anziché a Parigi,in Costa Azzurra.
Wei Ling Soo è il più celebre mago del momento, ma tolte le vesti di illusionista è Stanley Crawford (Colin Firth), un giovane inglese un po’ arrogante che nutre molta avversione per chi si vanta di avere doti particolari da medium. Un amico di vecchia data, Howard, lo convince a recarsi in Francia per conoscere e smascherare la giovane e bella “veggente” Sophie Baker (Emma Stone). Riuscirà Stanley a sbugiardare la ragazza? Quello che succede nella residenza Catledge è una vera e propria serie di eventi magici che coinvolgerà tutti i personaggi.
Il Torino Film Festival non è solamente anteprime ed esordienti ma anche celebrazioni di grandi classici della storia del cinema: la kermesse è da sempre attenta al panorama internazionale e quest’anno ha scelto di omaggiare la cinematografia tedesca proponendo tre titoli cardine del cinema d’Oltralpe.
The eggs for breakfast, the sound of the wind chimes when exiting the house, the tea preparation, the naps on the three chairs during the work shift… All these things mark the days for Marat, a young security watchman. In “Priklyuchenie – Adventure” there’s very little adventure: the events in the shy watchman’s life recur in a routine marked by few images, useful for understanding his loneliness
Besides the screenings of previews and first works, the Turin Film Festival also celebrates the classics of cinematographic history. The film exhibition has always had a special consideration for the international review; this year it has decided to pay homage to the German cinematography by promoting three of its most relevant films.
Le uova della colazione, il suono del cacciaspiriti all’uscita di casa, la preparazione del té, le dormite su tre sedie durante il turno di lavoro scandiscono le giornate di Marat, giovane guardiano notturno. In Priklyuchenie – Adventure c’è ben poco di avventuroso: gli avvenimenti della vita del protagonista si ripetono in una ritualità scandita da poche immagini, utili per comprendere la sua solitudine.
Dopo anni di assenza, Volker Schlöndorff, uno dei massimi esponenti del Nuovo Cinema tedesco, ritorna nelle sale italiane con Diplomacy – Una notte per salvare Parigi, adattamento di una pièce teatrale di Cyril Gely. Dopo La mer à l’aube, il regista tedesco porta sullo schermo un episodio realmente accaduto durante la Seconda guerra mondiale.
After years of absence, Volker Schlöndorff, leading exponent of the New German Cinema, makes his comeback in Italian cinemas with ‘Diplomacy- A night to save Paris’, which is an adaptation of the play by CyrilGely. The German director chooses again the Second World War’s theme after ‘La mer à l’aube’, bringing to the big screen an episode that really happened.
Volker Schlöndorff and Emanuela Martini during the presentation of ‘Diplomacy- A night to save Paris’ (Photo by Bianca Brocchieri).
The action takes place over the night between 24 and 25 August 1944, when the Allies entered in Paris finally ending the war. Although the Nazis were aware of their imminent defeat, the Führer did not surrender and ordered at General Dietrich von Choltitz (played masterfully by Niels Arestrup) to burn Paris. However, with monuments and bridges mined and ready to explode, the order of Hitler, as we know, has never been executed. Even though the ending is obvious, Schlöndorff is able to create a captivating and pressing thriller thanks to the excellent interpretation of Niels Arestrup and André Dussollieras the Swedish console Raoul Nordling, and to the high skills of the director. The Maaurice Hôtel is the stage in which the duel between two star performers takes place: on one side there is Nordling, defender of humanity and symbol of a pacifist moral; on the other side, there is commander von Choltitz, faithful to the Nazi cause and obedient to each command given by his superiors. Proposing a reality as that of World War II, by now engraved on the collective memory, is the pretext that allows Schlöndorff to investigate the nature of the human soul, divided between political duty and a silent reminder of brotherhood. This particular episode has already been brought to the big screen in 1966 by René Clément in ‘Paris brûle-t-il?’, but the German director treats it in an innovative way by avoiding captions and illustrative style, and also combining cleverly evocative pictures of repertory with digital reconstructions of magical Parisian skyline.
Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino