The Fire Within is a film that focuses less on Herzog’s interest in volcanoes – already demonstrated in La Soufrière (1977) and Into the Inferno (2016) – than on the work of Katia and Maurice Krafft. A requiem, as the subtitle suggests, that revolves around the death of the two famous volcanologists while they were closely studying those giants towards which they felt a real obsession.
The Fire Within è un film che non si concentra tanto sull’interesse di Herzog per i vulcani – già dimostrato in La Soufrière (1977) e Into the Inferno (2016) – quanto sull’opera di Katia e Maurice Krafft. Un requiem, come suggerisce il sottotitolo, che ruota attorno alla morte dei due celebri vulcanologi, mentre studiavano da vicino quei giganti verso cui provavano una vera e propria ossessione.
Presented and competing at the fortieth edition of Torino Film Festival, and already winner of the Camera d’Or at Cannes, competing in the Un Certain Regard section, War Pony marks the directing debut of actress Riley Keough and producer Gina Gammell, featuring an inspiring portrait of the Native American community, directly involved in the making of the film.
Presentato in concorso alla quarantesima edizione del Torino Film Festival, già vincitore della Camera d’Or a Cannes, dove concorreva nella sezione Un Certain Regard, War Pony segna l’esordio alla regia dell’attrice Riley Keough e della produttrice Gina Gammell, con un appassionante ritratto della comunità di nativi americani coinvolta direttamente nella realizzazione del film.
The oyster that remains attached to the rock on which it was birthed by fate will live peacefully. The oyster that instead ventures into the unknown in search of fortune can only end up swallowed by the ocean. This is the so-called “Ideal of the Oyster”, which is essential in the events of “I Malavoglia” by Giovanni Verga and of “La Lunga Corsa”, the second movie by director Andrea Magnani and the only Italian feature film in competition at the fortieth edition of the Turin Film Festival.
Giacinto (Adriano Tardiolo) was born and raised in prison, the only environment he recognizes as home during his training process. Abandoned by his parents, he is looked after by prison guard Jack (Giovanni Calcagno), who becomes his figure of reference. However, Jack would like Giacinto to go out and make a living away from the bars and narrow corridors through which the boy enjoys running despite it being forbidden. Thus, he takes him to a family house which, however, is more of a prison for the child than the prison itself. As soon as he gets the chance, he runs away and attacks a man to get arrested and be able to go “home”, but he discovers that children cannot go to prison. So, he tries again on his eighteenth birthday. Jack understands that Giacinto will never change his mind and has him hired as a guard in the penitentiary, which thus becomes a place of work, lodging and recreation for him.
If “Easy – Un viaggio facile facile” (2017), Magnani’s first work, was a classic road movie, here instead a static journey is presented: Giacinto runs for hours but never moves, he remains inside his miniature “Matrix”, preferring the blue pill to the red one (colors that, among other things, are recurrent in the film). He wants to stay locked up in his cave because he sees nothing interesting in the frenetic stillness that pervades the exterior, where people seem to do nothing but run aimlessly between circling buses and construction sites that have been standing still for years.
Jack tries to get Giacinto to escape from what he sees as a mental cage without realizing that he himself is the first of the prisoners chained to a life that doesn’t satisfy him and from which he tries to escape by drinking in the evening. Giacinto doesn’t run to escape or to win a race; he runs to run, unlike those like Jack who would like to flee, but stand still in their perpetual unhappiness.
L’ostrica che rimane attaccata allo scoglio su cui il caso l’ha fatta nascere vivrà serenamente. L’ostrica che invece si avventurerà verso l’ignoto in cerca di fortuna non potrà che finire inghiottita dall’oceano. È così definito “l’ideale dell’ostrica” che accompagna le vicende dei protagonisti de I Malavoglia di Giovanni Verga e del film La lunga corsa, seconda opera del regista Andrea Magnani e unico lungometraggio italiano in concorso alla quarantesima edizione del Torino Film Festival.
Giacinto (Adriano Tardiolo) nasce e cresce in carcere, unico ambiente che riconosce come casa nel corso del suo processo di formazione. Abbandonato dai genitori, viene accudito dalla guardia penitenziaria Jack (Giovanni Calcagno), che diventa il suo punto di riferimento. Jack vorrebbe però che Giacinto uscisse e si facesse una vita lontano dalle sbarre e dagli stretti corridoi per i quali il ragazzo si diverte a correre nonostante sia vietato. Lo porta così in una casa-famiglia che risulta però per il bambino una prigione più del carcere stesso. Appena ne ha l’occasione fugge e aggredisce un uomo per essere arrestato e poter tornare “a casa”, ma scopre che i bambini non possono andare in prigione. Ci riprova così il giorno del suo diciottesimo compleanno. Jack capisce che Giacinto non cambierà mai idea e lo fa assumere come guardia nel penitenziario, che diventa così per lui luogo di lavoro, alloggio e svago.
Se Easy – Un viaggio facile facile (2017), opera prima di Magnani, era un classico road movie, qui viene invece presentato un viaggio statico: Giacinto corre per ore ma non si muove mai, rimane all’interno della sua Matrix in miniatura, preferendo la pillola blu a quella rossa (colori tra l’altro ricorrenti nel film). Vuole restare rinchiuso nella sua caverna perché non vede nulla di interessante nel frenetico immobilismo che pervade l’esterno, dove le persone non sembrano far altro che correre senza meta tra autobus che girano in tondo e cantieri fermi da anni.
Jack cerca di far evadere Giacinto da quella che lui vede come una gabbia mentale senza però rendersi conto che è lui stesso il primo dei prigionieri, incatenato a una vita che non lo soddisfa e dalla quale tenta di scappare bevendo la sera. Giacinto non corre per fuggire o per vincere una gara; lui corre per correre, a differenza di quelli come Jack che vorrebbero fuggire ma rimangono immobili nella propria perpetua infelicità.
“Cara Anna, non è la prima volta che mi rivolgo a te in questo modo”. È con queste parole che inizia l’ultimo film di Bertrand Bonello, una lettera aperta piena di amore e sensibilità rivolta alla figlia adolescente. Il regista aveva già cercato di comunicare con la ragazza attraverso il suo cinema con Nocturama (2016), di cui compaiono alcune immagini all’inizio del film in un montaggio così confuso da trasformarne i fotogrammi in pura astrazione. Se lo sforzo di entrare in contatto con la figlia non era allora riuscito dato che lei non ha visto il film, Bonello ci riprova, realizzando un’opera più intima, personale e al contempo universale che si rivolge alla figlia ma anche alle nuove generazioni.
‘Dear Anna, this is not the first time I have addressed you in this way’. It is with these words that Bertrand Bonello’s latest film begins. Words which pave the way to an open letter full of love and sensitivity addressed to his teenage daughter. The director had already tried to communicate with the girl through the cinema with Nocturama (2016). Some images of this film appear at the beginning of Coma in a confused montage that turns the frames into pure abstraction. The previous effort to get in touch with his daughter had been unsuccessful, since she had not seen the film. For this reason, Bonello tries again, making a more intimate, personal and, at the same time, universal work that addresses his daughter and also new generations.
Una coppia in crisi parte con i figli per un’ultima vacanza prima della separazione; la meta è un resort tropicale trovato su internet, un luogo apparentemente da sogno che si rivela teatro di avvenimenti oscuri e inspiegabili. Queste le premesse di Old, l’ultimo thriller di M. Night Shyamalan tratto dal graphic novel Château de sable. Il fumetto di Pierre-Oscar Levy e Frederick Peeters diviene lo spunto perfetto per declinare temi e modi tipici del regista, che aggiunge un altro tassello al proprio universo fantastico e inquietante, dominato dal sovrannaturale. A minacciare i protagonisti, costringendoli a fronteggiare le proprie debolezze, è questa volta un’anomalia nello scorrere del tempo (ogni mezz’ora corrisponde a un anno), per cui la famiglia Capa si ritrova a invecchiare precocemente.
Shyamalan si confronta con una delle ossessioni più antiche dell’umanità, quella del tempus fugit, riaggiornandola alla luce delle nevrosi attuali, della coazione alla pianificazione e al consumo di esperienze, ambientandola nel contesto che più la esaspera: le vacanze. La nevrosi affligge gli adulti (il padre è un contabile fissato con le statistiche) quanto le nuove generazioni, come indicano i passatempi del piccolo Trent, che cataloga gli sconosciuti per nome e professione e programma per tappe il proprio futuro, con tanto di accenno al mutuo. Ma come ogni volta in cui il regista affronta la catastrofe questa si fa rivelazione, e il sovrannaturale è occasione per una presa di coscienza: ogni tentativo di spiegare il mondo è instabile e per quanto i personaggi affastellino teorie il mistero dell’isola resta insolubile. Come in The Happening (2008), ci si salva accantonando l’assillo interpretativo, riscoprendo i legami e il valore del qui e ora, e la rivelazione giunge tornando a costruire castelli di sabbia.
Laddove statisti e medici falliscono, la chiave sta dunque in un gioco tra bambini, in un messaggio in codice che richiede il salto della fede, non in un dio ma nel gioco narrativo. Ancora una volta in Shyamalan, le storie salvano così come si svelano, mettendo a nudo le proprie strutture: dalla compressione temporale permessa dal montaggio che si fa centro tematico, alla presenza del regista in scena (qui demiurgo e spettatore, che osserva i personaggi appostato su un’altura), all’elaborazione stilistica evidenziata dagli insistiti fuori-campo; l’impalcatura cinematografica si manifesta apertamente, senza però minare la sospensione dell’incredulità. Come a ribadire che il cinema è sì finzione, ma è una storia a cui vogliamo (e forse dobbiamo) credere.
Lente panoramiche perlustrano un paesaggio siderale, una distesa di montagne ricoperte dalla neve e sovrastate dal vento. È forse un territorio alieno quello al centro di El elemento enigmático, un ambiente ostile in cui tre uomini avanzano a fatica. Uomini in casco e tuta da motocliclista, senza volto né voce (ne comprendiamo i dialoghi solo mediante i sottotitoli), che vagano senza meta aspettando la propria fine. Un clima di sospensione permane per tutto il film, un’opera difficilmente catalogabile, a metà strada fra narrazione e videoarte . Se infatti è possibile rintracciare aspetti cari alla fantascienza, come lo scontro fra natura e uomo, questi vengono risucchiati dall’onnipresente aura di mistero, un’atmosfera densa e al tempo stesso impalpabile, come i vapori ghiacciati qui emanati dalle rocce.
“For further information, see D. Bordwell and K. Thompson”, “see D. Bordwell, K. Thompson”: every film student has found these specific footnotes – or they have heard those two names, or maybe they have studied from their books at least once in their lives. Nevertheless, those distinguished names could still be perceived as far away from reality, they could be considered just as simple names, labels, quotes. That happens to Bazin, Kracauer, Morin, Zavattini, etc. But, on Tuesday, November 26th, David Bordwell and Kristin Thompson gave two lectures to a large group of students at the auditorium “Guido Quazza” of Palazzo Nuovo. Finally, bodies have been associated to their names, the content of a textbook became matter of a dialogue.
“Si veda, a questo proposito, D. Bordwell e K. Thompson”; “cfr. D. Bordwell, K. Thompson”: ogni studente di un corso di Storia del Cinema ha trovato almeno una volta note a pié di pagina recanti questi due nomi, o li ha sentiti nominare da un professore o si è ritrovato a studiare direttamente i loro testi. Tuttavia ai suoi occhi questi nomi, tanto illustri e sempre citati, possono apparire lontani e restare per sempre solo questo: nomi, etichette, citazioni. Così accade ai vari Bazin, Kracauer, Morin, Zavattini ecc. Ma non è accaduto appunto a David Bordwell e Kristin Thompson che martedì 26 novembre, presso l’auditorium “Guido Quazza” di Palazzo Nuovo, hanno tenuto due interventi di fronte a un nutrito gruppo di studenti. E così i nomi si sono finalmente fatti corpo, il contenuto di un testo da imparare si è fatto confronto.
Il DAMS dell’Università di Torino apre le porte al TFF (che a sua volta accoglie ogni giorno i suoi blogger, studenti e professori) per un appuntamento di grande valore educativo: Daniele Segre presenta il suo Nome di battaglia Donna.
Puntuale si ripresenta la stretta collaborazione tra il TFF e il Dams di Torino. Oggi l’ospite d’eccezione Emanuela Martini, direttrice della kermesse torinese, ha presentato il programma agli studenti, calcando la cattedra universitaria insieme al prof. Alonge durante la lezione di Storia del Cinema.
Lo scorso 15 ottobre il National Theatre di Londra, consolidando una tradizione iniziata nel 2009, ha trasmesso in streaming la diretta della rappresentazione di Amleto con regia di Lyndsey Turner (produzione di Sonia Friedman) superando ogni suo record: 225.000 spettatori, 1.400 schermi in 25 paesi live e/o in lieve differita. In Italia uscirà nelle sale il 19 e 20 aprile 2016, in occasione dell’anniversario della morte del drammaturgo inglese.
Ieri sera Hamlet è stato presentato da Emanuela Martini al Torino Film Festival: pochi posti liberi al Reposi e tantissimi giovani che si sono lasciati attrarre dalla storia immortale del principe danese.
La sezione ONDE – ARTRUM, nasce all’interno della rassegna della 33º edizione del TFF curata dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, centro per l’arte contemporanea sempre attento alla contaminazione fra le diverse realtà artistiche, in collaborazione con Anna Lenna Films, produttrice di film d’arte da più di quindici anni. La rassegna comprende sei film che segnano un percorso sul laceramento dello spazio e del corpo, e attraverso un circuito di carattere ritmico, impongono allo spettatore un crescendum di forze visive e sonore.
Brooklyn, a drama directed by John Crowley and written by Nick Hornby, based on the novel of the same name by Colm Toìbin. It’s the moving story of Eilis Racey (Saoirse Ronan), a young Irish immigrant who, attracted by the promise of America, departs from Ireland leaving her family and her home to reach the coasts of New York City. The initial chains of homesickness quickly fade away and Eilis lets herself get lost in the intoxicating charm of love. Pretty soon, her liveliness is interrupted by her past, and this young woman will have to make a choice between the two countries and the two lives they involve. Continua la lettura di Brooklyn by John Crowley→