Archivi categoria: Torino Film Festival

“IMMÉMORIAL, CHANTS DE LA GRANDE NUIT” BY BÉATRICE KORDON

Article by Lisa Cortopassi

Translation by Martina Bigi

Darkness, cold. A metallic melody and an off-screen voice introduce the spatial and thematic coordinates of Immémorial, Chants de la Grande Nuit. Legend has it that, in a primordial moment, the Gods tore the Night to reveal the “world of things.” This is how form, language, and day were created. Using this myth as a framework, Béatrice Kordon investigates on the “immemorial” time: a time that is both past and future, a time that leaves no trace and waves between death and birth, darkness and light.

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“IMMÉMORIAL, CHANTS DE LA GRANDE NUIT” DI BÉATRICE KORDON

Buio, freddo. Una melodia metallica e una voce fuori campo introducono le coordinate atmosferiche e tematiche di Immémorial, Chants de la Grande Nuit. Si racconta di un momento primigenio in cui gli Dei avrebbero squarciato la Notte per far emergere il «mondo delle cose». Così sarebbero nate la forma, la parola e il giorno. Servendosi del mito, Béatrice Kordon conduce un’indagine sul tempo “immemorabile”: un tempo che è tanto passato quanto futuro, che non ha traccia e che è in bilico tra la morte e la nascita, tra il buio e la luce.

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“IL CORPO”, BY VINCENZO ALFIERI

Article by Elisa Gnani

Translation by Silvia Matera

We are rarely forgiving with Italian fiction filmmaking. We tend to consider it like a box full of unassuming or mediocre products, but films like Il corpo prove us wrong.

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“TERRA INCOGNITA” BY ENRICO MASI

Article by Francesca Strangis

Translation by Giorgia Mazzù

Asleep on the grass, a man and a woman are awakened by the sound of screeching metallic noises. The man climbs a slight hill, driven by curiosity to see what lies beyond. On the other side, the world of technology: towering electric pylons and industrial plants dominate the view. The opening sequence of Terra Incognita (‘Unknown Land’) serves as a metaphor for the film itself, which explores the themes of energy supply and humanity’s survival on Earth through two opposing perspectives.

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“TERRA INCOGNITA” DI ENRICO MASI

Addormentati sull’erba, un uomo e una donna vengono risvegliati da suoni metallici stridenti. L’uomo sale su una lieve altura, spinto dalla curiosità di vedere oltre. Dall’altra parte, il mondo della tecnologia: tralicci elettrici e impianti industriali si ergono ingombranti alla vista. La sequenza di apertura di Terra incognita è metafora del film stesso, che, attraverso due prospettive opposte, tratta il tema dell’approvvigionamento energetico e della sopravvivenza dell’uomo sulla terra.

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“THE SUMMER BOOK” BY CHARLIE MCDOWELL

Article by Brigitta Mariuzzo

Translation by Martina Perrero

Grief is an island in the middle of the sea, where the summers of childhood have been embedded. A suspended place, waiting for a storm that is slow to break and of the arrival of those who have long since failed to return.

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“THE SUMMER BOOK” DI CHARLIE MCDOWELL

Il dolore è un’isola in mezzo al mare dove sono rimaste incastonate le estati dell’infanzia. Un luogo sospeso in attesa di una tempesta che tarda a scoppiare e dell’arrivo di chi da tempo non vi ha più fatto ritorno.

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“HIGHER THAN ACIDIC CLOUDS” BY ALI ASGARI

Article by Alessandro Pomati

Translation by Laura Cattani

In Tehran a search is taking place inside a big house: men are rifling through drawers and closets, boxes of personal belongings are being taken away. Nothing we have not already seen in the context of the Iranian dictatorship. But there is one jarring detail: the owner of the searched house is sitting petrified on the couch, while his place would be elsewhere, in a director’s chair, for example, directing that short, chilling sequence shot capturing the search. That is Ali Asgari, impatiently waiting for the authorities to do their work in his apartment-atelier and leave him alone, at least for the time being.

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“HIGHER THAN ACIDIC CLOUDS” DI ALI ASGARI

All’interno di una grande casa di Teheran si sta svolgendo una perquisizione: uomini che frugano nei cassetti e nelle ante degli armadi, scatole di effetti personali che vengono portate via; nulla che non si sia mai visto nel contesto della dittatura iraniana. Ma c’è un dettaglio che stona: il proprietario della casa perquisita, seduto impietrito sul divano mentre il suo posto sarebbe altrove, su una sedia da regista, ad esempio, a dirigere quel breve e raggelante piano sequenza che immortala la perquisizione; si tratta di Ali Asgari, in impaziente attesa che le autorità svolgano il loro lavoro nel suo appartamento-atelier e lo lascino in pace, almeno per il momento.

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“EIGHT POSTCARDS FROM UTOPIA” BY RADU JUDE E CHRISTIAN FERENCZ-FLATZ

Article by Romeo Gjokaj

Translation by Martina Marino

Radu Jude and Christian Ferencz-Flatz’s latest work is deeply rooted in the socio-political context of post-revolution Romania, narrating the last thirty years of the country’s history through the commercials that accompanied its people towards democracy. It is an experimental found-footage documentary, divided into eight chapters displaying dozens of commercials played back-to-back: an overwhelming and ever-changing flow of ideals, dreams and hopes. Thus, we find ourselves reliving a fragment of the utopia promised by the end of socialism, yet an utopia that, however, is jarring and full of contradictions.

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“EIGHT POSTCARDS FROM UTOPIA” DI RADU JUDE E CHRISTIAN FERENCZ-FLATZ

L’ultimo lavoro di Radu Jude e Christian Ferencz-Flatz affonda le sue radici nel contesto socio-politico della Romania post-rivoluzione, raccontando gli ultimi trent’anni della vita del Paese attraverso le pubblicità che hanno accompagnato il popolo rumeno verso la democrazia. Un documentario sperimentale di montaggio, suddiviso in otto capitoli che presentano decine di spot riprodotti uno dietro l’altro: un flusso travolgente di ideali, sogni e speranze in continua evoluzione. Ci troviamo così a rivivere un pezzo dell’utopia che la fine del socialismo prometteva, un’utopia però stridente e piena di contraddizioni.

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“DUINO”, BY JUAN PABLO DI PACE AND ANDRÉS  PEPE ESTRADA

Article by Alessandra Sottini.

Translation by Irene Pezzini.

(Sexual) identity and love. When these planes of emotional and subjective experience intertwine with each other during adolescence, inevitably everything becomes amplified and confused. And when the awareness that comes with maturity, you either come to terms with yourself or you remain in a limbo.

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“DUINO” DI JUAN PABLO DI PACE E ANDRÉS PEPE ESTRADA

Identità (sessuale) e amore. Quando questi piani dell’esperienza emozionale e soggettiva si intrecciano durante l’età adolescenziale, inevitabilmente tutto si amplifica e diventa confuso. E con la presa di coscienza della maturità, o si viene a patti con se stessi oppure si permane in un limbo.

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“CORRESPONSAL”, BY EMILIANO SERRA

Article by Alessandro Pomati.

Translation by Alessandra Rapone.

An informer for the armed wing of the Argentine dictatorship in 1978, called Ulrich, works with images: photographic images or those created by amateur film cameras. This may be a didactic detail, since the way the director Emiliano Serra (in his first fiction feature film) ‘uses’ his main character, in particular the way he captures and defines him in the writing, makes him, in turn, a ‘camera’: the narrative proceeds only when he is present, and the viewer sees and hears only what Ulrich sees and hears. Furthermore, the impassivity of the protagonist’s face (played by Gabriel Rosas) and the monochord setting of his voice, able to read both a confidential report and an article about the upcoming football World Cup with the same intonation, emphasize the idea of a coldness that only a machine or an inanimate object could have. The eyes, not surprisingly, are the only expressive feature.

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“CORRESPONSAL” DI EMILIANO SERRA

Informatore per il braccio armato della dittatura argentina nel 1978, Ulrich lavora con le immagini: immagini fotografiche o realizzate da cineprese amatoriali. È questo un dettaglio forse didascalico, dal momento che il modo in cui il regista Emiliano Serra (al suo primo lungometraggio di finzione) “utilizza” il suo personaggio principale, ovvero il modo in cui lo riprende e lo definisce a livello di scrittura, lo rendono a sua volta una “macchina da presa”: la narrazione procede soltanto quando lui è presente e lo spettatore vede e sente soltanto ciò che vede e sente Ulrich. Inoltre, l’impassibilità del volto del protagonista (interpretato da Gabriel Rosas) e l’impostazione monocorde della sua voce, capace di leggere con la stessa intonazione un rapporto confidenziale e un articolo sugli imminenti mondiali di calcio, rimarcano l’idea di una freddezza che solo una macchina o un oggetto inanimato potrebbero avere. Sono gli occhi, non a caso, il solo tratto espressivo.

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THE PRESS CONFERENCE OF 42° TORINO FILM FESTIVAL (NOVEMBER 22-30, 2024)

The press conference presenting the 42nd edition of the Torino Film Festival was held in the setting of Villa Miani in Rome. In the presence of the president of the National Cinema Museum, Enzo Ghigo, and its director Carlo Chatrian, the newly installed artistic director Giulio Base announced the festival’s program under the intense and magnetic gaze (printed on a poster placed behind him) of Marlon Brando from Last Tango in Paris, chosen as the poster for the new edition. And perhaps it isn’t a coincidence that precisely an interpretation of the Hollywood rebel star directed by a master of Italian cinema was chosen as the guiding image of the kermesse, given the new direction’s attention to America and Italy, as would be confirmed by the large number of guests and titles (both first and second works, which have always been the privileged object of the Turin event, as well as restorations) from the two countries.

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LA CONFERENZA STAMPA DEL 42° TORINO FILM FESTIVAL (22-30 NOVEMBRE 2024)

Nella cornice di Villa Miani, a Roma, si è svolta la conferenza stampa di presentazione della 42sima edizione del Torino Film Festival. Alla presenza del presidente del Museo Nazionale del Cinema, Enzo Ghigo, e del suo direttore Carlo Chatrian, il neoinsediato direttore artistico Giulio Base ha annunciato il programma del festival sotto lo sguardo intenso e magnetico (ancorché stampato su un cartellone posto alle sue spalle) del Marlon Brando di Ultimo tango a Parigi, scelto come manifesto della nuova edizione. E forse non è un caso che proprio un’interpretazione del divo ribelle di Hollywood diretta da un maestro del cinema italiano sia stata scelta come immagine guida della kermesse, vista l’attenzione riservata dalla nuova direzione proprio all’America e all’Italia, come confermerebbe il grande numero di ospiti e titoli (sia opere prime e seconde, da sempre oggetto privilegiato della manifestazione torinese, sia restauri) provenienti dai due Paesi.

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“ARTURO A LOS 30” DI MARTÌN SHANLY

Quanta sofferenza c’è nel “diventare grandi”? Se nel suo primo lungometraggio Juana a los 12 (2014), il regista argentino Martín Shanly aveva esplorato le incertezze di una ragazza che non si sente all’altezza delle aspettative degli adulti, in Arturo a los 30 il protagonista (interpretato dallo stesso Shanly, anche co-sceneggiatore del film) è un adulto che non riesce a sentirsi tale. Arturo incarna il millenial perfetto: sempre sotto farmaci, senza un lavoro stabile e per questo costretto a casa dei genitori, incapace di creare relazioni o di gestire nuove responsabilità. Va avanti così fino a quando, il giorno del matrimonio di un’amica, sarà costretto a confrontarsi con la propria esistenza. 

Attraverso la scrittura del suo diario, Arturo si muove avanti e indietro nella storia della sua vita cercando di darle ordine, mescolando passato e presente secondo una logica associativa più che cronologica. Un flashback dopo l’altro iniziamo a comprendere che c’è qualcosa di profondamente irrisolto nel suo percorso di crescita che gli impedisce di varcare la soglia dell’età adulta. Come il pipistrello imprigionato che sbatte contro le vetrate di una chiesa in una delle prime scene del film, Arturo è sospeso in una perenne adolescenza, mentre chi gli sta intorno continua a crescere. È incapace di affrontare i traumi della propria vita, metaforicamente rappresentati dal dito rotto che non si preoccupa di curare. Chiuso nelle proprie insicurezze, è incostante e sfuggente come Julie di The Worst Person in The World (Joachim Trier, 2021), ma porta su di sé anche un’inadeguatezza che ci ricorda Nanni Moretti, da cui eredita la struttura del cinema-diario e la passione per le abbuffate solitarie.

Sarà forse l’inizio della pandemia – quando “non esiste più un modo giusto di vivere la vita” – a permettere ad Arturo di uscire dalla sua immobilità. Tra speranze disattese e traumi rimossi, Martín Shanly riesce a costruire in maniera efficace il ritratto di una generazione grazie a un personaggio che, nella sua goffaggine e tenerezza, sa farci sorridere.

Articolo pubblicato su La Repubblica il 30/11/2023

Sara Longo

“VINCENT DOIT MOURIR” DI STÈPHAN CASTANG

La violenza scaturisce dagli occhi di chi guarda: a Vincent (Karim Leklou), per essere aggredito, basta incrociare lo sguardo di qualcuno. Questa – banale – azione quotidiana è foriera, in Vincent doit mourir, di una crudeltà senza fine, destinata a protrarsi di giorno in giorno, ogni volta con modalità inedite. La violenza si diffonde, in modo quasi epidemico, tramite attacchi scomposti e impacciati di civili totalmente inadatti al combattimento. Si innesca così una follia che ha una venatura grottesca: queste persone vogliono disperatamente uccidere Vincent ma, al tempo stesso, ne sono incapaci.

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