Archivi categoria: Torino Film Festival

“CasaOz” di Alessandro Avataneo

 

Spesso dolore e sofferenza possono essere motori potenti, possono spingere le persone verso direzioni inaspettate: è così che nel lontano 2007 inizia la storia di CasaOz.

CasaOz, prima di essere un associazione Onlus, è una Casa diurna che accoglie le famiglie i cui figli hanno incontrato la malattia, qualunque essa sia.  Nasce della volontà della sua direttrice, Enrica Baricco,  la quale ha avuto la sensibilità e la forza di interrogarsi su come fosse possibile alleviare quella sofferenza che lei conosce bene. La risposta è stata dunque la creazione di un porto sicuro in cui non solo i bambini hanno la possibilità di giocare, imparare e fare i compiti, ma anche  i genitori possono trovare un orecchio disposto ad ascoltarli, o più semplicemente un luogo in cui possono sedersi e riprendere fiato.

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“The Guest” di Adam Wingard

Il ritorno col botto degli anni Ottanta

I Peterson sono una famiglia perfettamente normale, ancora in lutto per la morte del loro primogenito Caleb, caduto in missione di guerra in Medio Oriente. Un giorno un ragazzo chiamato David Collins si presenta alla loro porta sostenendo di aver servito nell’esercito con Caleb e di avergli promesso di prendersi cura dei suoi cari. Mentre all’inizio viene accolto con diffidenza, David riesce in breve tempo a guadagnarsi la stima e l’affetto di tutta la famiglia, inclusa quella dei due fratelli di Caleb, Anna e Luke. Ma dopo una serie di episodi violenti che coinvolgono la piccola comunità, Anna comincia a sospettare che David nasconda qualcosa e che non sia realmente chi dice di essere. Continua la lettura di “The Guest” di Adam Wingard

“Jaws” (“Lo squalo”) di Steven Spielberg

Una Paura che non svanisce mai

Sono passati ormai 39 anni da quando, in quel lontano 1975, Steven Spielberg realizzò uno di quei film che ha fatto epoca non solo per il successo di critica e di pubblico, ma si è imposto come evento culturale a livello di immaginario collettivo. Da quella lontana estate tutti coloro che hanno visto questo film non riescono a guardare il mare con occhi sereni. Tanto si è scritto, ma il fascino che suscita sul pubblica resta sempre immutato. Continua la lettura di “Jaws” (“Lo squalo”) di Steven Spielberg

“ROLLING THUNDER” DI JOHN FLYNN

Un reduce dal Vietnam disadattato, insonne, incapace di integrarsi nella Società alla fine del film si arma di tutto punto e fa una carneficina.  No, non sto parlando di Taxi Driver, bensì di un film appena successivo (di un anno: è infatti del 1977) al capolavoro di Scorsese: Rolling Thunder. Entrambi i film nascono dalla penna tormentata di Paul Schrader che, dopo una notevole attività di sceneggiatore (The Yakuza per Sidney Pollack, Complesso di colpa per Brian De Palma), era fermamente intenzionato a passare dietro la macchina da presa ma, per problemi produttivi, il progetto è stato poi affidato per la regia John Flynn e per la riscrittura a Heywood Gould.

Schrader esordì  ripiegando sul dramma “operaio” Tuta blu nello stesso anno. Ma la storia di alienazione e vendetta del Maggiore Rane era perfetta: questi torna a casa, in Texas, dopo sette anni di prigionia in Vietnam (che lo segnano profondamente) e la comunità gli riconosce “per eroismo” una cassa di dollari d’argento. Dei banditi rubano i soldi e gli uccidono barbaramente moglie e figlio. Rane decide di farsi giustizia da solo. Continua la lettura di “ROLLING THUNDER” DI JOHN FLYNN

CINQUE CORTOMETRAGGI DI SPAZIO TORINO

Piacevole è vedere come la mancanza di fondi e la scarsità di distribuzione non tolgano mai l’entusiasmo e la voglia di fare dei giovani cineasti, che si cimentano nella nobile arte del cortometraggio. E’ una vera e propria palestra per i registi del futuro; da Spielberg a Lucas passando per Ridley Scott e Nolan, il corto già mostra quello che sarà lo stile visivo di un cineasta. Ieri sera, nella sala 1 del Reposi, alcuni filmmaker piemontesi hanno iniziato la rincorsa, forse, ai mostri sacri sopra citati. Continua la lettura di CINQUE CORTOMETRAGGI DI SPAZIO TORINO

“THE DUKE OF BURGUNDY” DI PETER STRICKLAND

Il film di Peter Strickland The Duke of Burgundy è l’unica opera terza in concorso al TFF32.

Il tempo e il luogo dell’azione sono imprecisati. Siamo in una curiosa comunità interamente femminile che gravita attorno a un istituto di entomologia. Le donne, vestite secondo la moda anni ’60 e ’70, tengono letture scientifiche, si aggirano con aria assorta in bicicletta e vivono in vecchie ville gotiche ricoperte d’edera.

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Cinque cortometraggi di Josephine Decker

 

Dagli States, echi di favole gotiche

Un dolce terremoto è l’omaggio dedicato alla giovane filmmaker americana Josephine Decker. Gone Wild, Madonna Mia violenta, Thou Wast Mild and Lovely, Balkan Camp e Butter on the Latch sono i cinque lavori presentati al Torino Film Festival. Tra accenti mumblecore e realismo magico, le opere della regista statunitense devono molto ai film di Joe Swanberg (regista del celebre Uncle Kent), che la Decker stessa definisce suo mentore, e all’ossessiva simbiosi panica che è alla base dei romanzi di John Steinbeck. Continua la lettura di Cinque cortometraggi di Josephine Decker

“The Babadook” di Jennifer Kent

Reduce del successo di critica e pubblico al Sundance, The Babadook, primo lungometraggio dell’esordiente Jennifer Kent, approda in concorso al Torino Film Festival. Pur seguendo con assoluto rigore gli schemi dell’horror a tematica fantasmi/possessione (il mostro, il bambino che gioca con la presenza soprannaturale, la madre inizialmente incredula), il film australiano si districa abilmente dal tranello della banalità proponendoci un punto di vista nuovo, decisamente più intimo rispetto alle numerose produzioni del genere. Continua la lettura di “The Babadook” di Jennifer Kent

“LA SAPIENZA” DI EUGÈNE GREEN

La Sapienza, quinto lungometraggio di Eugène Green, presentato in anteprima al festival di Locarno quest’estate e film d’apertura della sezione Onde del TFF 32, racconta l’incontro tra due coppie.  La prima è costituita da Alexandre e Alienor Schmidt, marito e moglie, rispettivamente architetto e psicoanalista.

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“In guerra” di Davide Sibaldi

In guerra, ovvero un tipo di cinema che ci fa usare superlativi, sia in lode che in condanna. 

Daniel Sovrano – interpretato dal talentuoso Fausto Cabra, attore teatrale che si è formato con Luca Ronconi presso il Piccolo Teatro – è uno sgherro che combatte una battaglia personale negli ambienti più malfamati di Milano. Una sera si imbatte nella fragile Eleonora – la splendida Anna Della Rosa, balzata alla notorietà con La grande bellezza, ma già nota in teatro con Blackbird –, una principessa in pericolo che il protagonista decide di portare in salvo attraverso gli orrori della giungla urbana. Continua la lettura di “In guerra” di Davide Sibaldi

“The Graduate” (“Il laureato”) di Mike Nichols

Fuga dalla middle class

Los Angeles. Un impacciato e vulnerabile ragazzo (Dustin Hoffman) galleggia in mezzo alla piscina del giardino di casa nascondendo l’angoscia per il futuro dietro un paio di occhiali scuri. Ma la musica che sentiamo (The Sound Of Silence di Simon & Garfunkel) rivela il suo sgomento davanti alla vita che ha già trascorso e a quella che l’attende. Benjamin Braddock, figlio dell’agiata middle class californiana, neolaureato alla Berkeley University, basso e bruttino, goffo e insicuro, ha sempre la stessa espressione e non si separa mai dalla sua adorata automobile, una Duetto Alfa Romeo che farà epoca. In realtà, l’apparente inerzia di Ben, che lo farà finire tra le braccia e le lenzuola dell’annoiata quanto avvenente Mrs. Robinson (Anne Bancroft), nevrotica amica dei suoi genitori, si rivelerà essere molto più consapevole e lucida di quanto non sembri. Continua la lettura di “The Graduate” (“Il laureato”) di Mike Nichols

“The Conversation” (“La conversazione”) di Francis Ford Coppola

Paranoia, paranoia canaglia…

San Francisco. Harold Caul (Gene Hackman) è un tecnico della sicurezza specializzato in intercettazioni. Espertissimo in spionaggio elettronico, trascorre la vita nel più totale isolamento per potersi immergere completamente negli incarichi che gli vengono affidati, riducendo al minimo il contatto con il prossimo e troncando sul nascere ogni possibile rapporto interpersonale. Assorbito totalmente dalla propria professione, scopre a poco a poco che la razza umana è capace di azioni terribili, inimmaginabili. Azioni che in passato l’hanno profondamente sconvolto, rendendolo incapace d’interessarsi minimamente a ciò che registra. Gli importa solo che la registrazione sia perfetta, il suono “pulito”. Incaricato di spiare quella che pare essere una relazione extraconiugale, si ritrova ben presto catapultato al centro di una torbida vicenda più grande di lui, capace di soffiargli via quel poco di dominio che aveva su un’esistenza precaria, fatta di assoli musicali e pezzi di vita altrui… Continua la lettura di “The Conversation” (“La conversazione”) di Francis Ford Coppola

“Tokyo Tribe” di Sion Sono

“E lasciatemi divertire!” avrebbe detto Aldo Palazzeschi. La stessa cosa direbbe Sion Sono quando, una delle sue “ultime” fatiche (la sua prolificità è di almeno due, tre film l’anno) viene accolta nei festival internazionali in maniera bipolare: da una parte applausi e passione degli ammiratori; dall’altra la fredda perplessità (se non proprio disgusto) dei suoi detrattori.

Il film in questione è Tokyo Tribe, una Grand opéra rap nipponica che mescola suggestioni tratte dal manga di Inoue Santa, da Walter Hill, dal primo Takashi Miike, dai videogames, da John Woo, dal cinema di arti marziali che fu masticato e sputato nel gusto citazionistico tarantiniano.

Assistiamo alla delirante guerra scatenata da Lord Buppa, capo dei capi delle bande criminali di Tokyo, asserragliate in ghetti-fortezze e in perenne lotta fra di loro. Con un pretesto futile, Buppa decide di provocare una personale Notte dei cristalli assoldando le Felpe Nere della Wusa e due misteriosi mercenari. Per fermarlo le altre bande decidono di appianare i conflitti che le hanno sempre separate e dare il via a una battaglia finale.

 Coloro i quali amano il cinema di Sion Sono si trovano in una posizione difficile. Da una parte ci si abbandona alla visione di geniali trovate registiche (una su tutte l’incipit: un lunghissimo piano sequenza che segue il narratore, si sofferma su personaggi di varia umanità e mostra l’ambiente partendo da due ragazzini che giocano con dei petardi), dall’altra si rimane perplessi davanti all’eccessiva lunghezza di un musical folle dove lunghi piani sequenza accompagnano canzoni che hanno tutte lo stesso ritmo, lo stesso uso eccessivo dei bassi, le stesse rime martellanti come colpi di cannone sulle tempie. Inoltre gli interpreti paiono completamente incapaci di dare un senso e un pathos ai loro personaggi superando il limite della caricatura.

 Non bisogna però dimenticare che, comunque, si tratta di un cine-fumetto alla giapponese (manga vuol dire appunto questo) e in Giappone è consuetudine lasciare i personaggi dei film ispirati ai manga su un piano assolutamente inverosimile. Le emozioni sono parodie di reali emozioni, tutto è eccessivo, esagerato, grottesco, delirante, barocco, caleidoscopico. È da questa parte che sta il lato migliore del film, soprattutto se a maneggiare questa dinamite c’è un regista che ha fatto dell’eccesso, della violenza, dell’ironia disarmante e grottesca il suo marchio di fabbrica: non si possono dimenticare il sanguinario pamphlet Suicide Club, la sofferenza esistenziale di Guilty of Romance,  i deliri di Strange Circus.

Tutto è luccicante, i colori accesi, la macchina da presa compie novimenti vertiginosi nei budelli più sporchi e degradati di Tokyo dove il sesso è esibito e i gangsters sono folli, violenti e sadici. Lo sguardo dell’autore si muove in modo sinuoso come un serpente che entra nella tana del coniglio per a morderlo, stordirlo, avvolgerlo nelle sue spire, fagocitarlo e vomitarne i resti.  Di certo il musical “alla” Sion Sono può piacere o non piacere, ma certamente riesce a sopraffare lo spettatore più accanito che non riuscirà a dimenticarlo. La preda è stata fagocitata. Sion Sono non si dimentica, e lui basta questo: “…e lasciatemi divertire!!!”

“LA SAPIENZA” DI EUGÈNE GREEN – CONFERENZA STAMPA

Una conferenza stampa è strumento utile per fugare i dubbi riguardo ad un film. La Sapienza è indubbiamente una di quelle opere su cui si dovrebbe discutere parecchio, a livello linguistico, narrativo e soprattutto recitativo. Ogni inquadratura è una stanza (è un caso che il filo conduttore sia l’architettura?) e gli attori non interagiscono tra di loro, ma parlano con se stessi. Ogni battuta è ben scandita e assomiglia più a una dichiarazione che ad un elemento di dialogo.  Continua la lettura di “LA SAPIENZA” DI EUGÈNE GREEN – CONFERENZA STAMPA

“Per tutta la vita” di Susanna Nicchiarelli

Il filo conduttore di Per tutta la vita, primo film della sezione curata da Paolo Virzì, è il divorzio, declinato sotto diversi punti di vista.
L’occasione che ha portato la regista Susanna Nicchiarelli (già affermatasi per due lungometraggi e in particolare per Cosmonauta nel 2009) ad occuparsi di questo fenomeno sociale è stato l’anniversario del Referendum che nel 1974 portò l’Italia a schierarsi a favore o contro il divorzio.

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“HABITAT – NOTE PERSONALI” DI EMILIANO DANTE

Si apre la sezione del TFF Italiana Doc con Habitat – Note personali, con cui Emiliano Dante ritorna al Festival dopo aver esordito cinque anni fa con Into the Blue.

Il suo obiettivo è sempre lo stesso:  mettere in scena il dramma dell’Aquila. Protagonisti sono lo stesso regista e i suoi due ex compagni di tenda: Alessio e Paolo. Emiliano vive in una delle abitazioni del Progetto C.A.S.E. ed è fidanzato con Valentina che invece vive ancora nella sua casa originaria; Alessio  fa l’agente immobiliare e vive con Gemma in una casa dall’affitto bassissimo perché ex terremotata e circondata dalle macerie; infine Paolo, diventato pittore dopo la strage, non sa cosa aspettarsi dal domani e dalla nascita della figlia.

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“WHIPLASH” DI DAMIEN CHAZELLE

Sfondo nero, assolo di batteria. Campo lungo su un ragazzo che si sta esercitando in una stanza in fondo al corridoio. La macchina da presa lentamente si avvicina.

È così che inizia Whiplash di Damien Chazelle. Il ragazzo in fondo al corridoio è Andrew (Miles Teller) e il suo obiettivo è quello di diventare uno dei più grandi batteristi del secolo. Non è un tipo modesto, ma d’altronde per tenere testa a Terence Fletcher (J. K. Simmons), l’insegnante che dirige la jazz band dello Shaffer Conservatory, il più prestigioso d’America, ci vuole stoffa, spina dorsale e soprattutto talento. Fletcher è infatti famoso per i suoi metodi d’insegnamento poco ortodossi: tirare uno schiaffo o un piatto in faccia a uno studente non è infatti una prassi inusuale nella sua classe. In caso di polemiche ha la giustificazione sempre pronta: Charlie “Bird” Parker non sarebbe diventato un grandissimo sassofonista se durante una sessione di prove, quando era ancora giovane, Jo Jones, un famoso batterista jazz, non gli avesse tirato, appunto, un piatto in faccia, per rendergli l’idea di quanto ancora potesse migliorare. Fletcher è fermamente convinto che una persona dotata di talento non si farebbe scoraggiare dai suoi folli metodi. A dirigere è bravo qualunque coglione, cazzo basta muovere le dita a tempo, io sono qui per spingere le persone oltre le loro aspettative”.

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