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“FALCON LAKE” BY CHARLOTTE LE BON

Article by: Marta Faggi

Translated by: Sara Borraccino

On the shore of their lake, Chloé (Sara Montpetit) asks Bastien (Joseph Engel) what his greatest fear is: the boy smiles with a shrug and replies that it is masturbating in front of mom and dad. In tears Chloé confesses then her own: “I think my greatest fear is to be lonely all my life.”

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Charlotte Le Bon, in her directorial debut, plumbs the age of adolescence by telling the story of a summer interlude at the lake. To do so, she draws heavily from the graphic novel Una Sorella (Bao Publishing, 2018) by french author Bastien Vivès, in which we find a recollection of all the ambivalences of the early youthful desires. Falcon Lake focuses on the mutual attraction between the two main characters. Chloé is a 16-year-old girl who tries so hard to act like an adult even when she’d rather press pause on everything. It might be this nature of hers that drives her to seek out Bastien, who’s two years younger than her and is openly inexperienced and subjugated by the charm of her ostentatious and constructed confidence. The two kids are immortalized in their purest naiveté as they awkwardly discover each other’s bodies. In the background, the actual adults, the parents. In Una Sorella, Vivès never depicts their faces, because that story is not theirs. And Le Bon reproposes this choice in her own language, the language of film: the parents are relegated off-screen, the faces unseen, with only their voice as a testament of presence.

In the last act, Le Bon, also the author of the screenplay, detaches her work from the one her feature film is based on. The ending she chose for the male protagonist is symbolic of the core of adolescence itself, an age spent on the edge between life and death. “There are ghosts who do not know they are dead,” and it is these ghosts, with their desires, who make up our youth. The two kids live their experiences in an absolute and fatalistic way, without the emotional processing typical of those who have already gone through adolescence and emerged unscathed.

Falcon Lake does not stray very far from coming-of-age narrative clichés. Despite that, the director creates a space of rigorous representation in which the anxieties and discoveries of adolescence alternate, within which the viewer can find themselves and their own experience.

“FALCON LAKE” DI CHARLOTTE LE BON

Sono sulla riva del loro lago, quando Chloé (Sara Montpetit) chiede a Bastien (Joseph Engel) quale sia la sua più grande paura: il ragazzo sorride, scrolla le spalle e risponde che è masturbarsi di fronte a mamma e papà. Quando Chloé si confessa a sua volta, sta piangendo: «Credo che la mia più grande paura sia di sentirmi sola tutta la vita».

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Charlotte Le Bon, al suo esordio alla regia, scandaglia l’adolescenza mostrandola durante una parentesi estiva al lago. Per farlo, attinge a piene mani dalla graphic novel Una sorella (Bao Publishing, 2018) del francese Bastien Vivès, in cui vengono trattate le ambivalenze del desiderio giovanile al suo nascere. Falcon Lake si concentra sull’attrazione reciproca tra i due protagonisti. Lei, Chloé, è una sedicenne che si sforza di comportarsi da adulta anche quando vorrebbe solo darsi il tempo di cui ha bisogno. È forse proprio questo che la spinge a ricercare Bastien, di due anni più giovane di lei, apertamente inesperto e soggiogato dal fascino della ostentata e costruita sicurezza di lei. I due ragazzi sono immortalati nella loro più pura ingenuità, mentre scoprono, impacciati, uno il corpo dell’altra. Sullo sfondo del loro rapporto ci sono gli adulti veri e propri, i genitori. In Una sorella, Vivès non disegna mai i volti, perché quella non è la loro storia. Le Bon ripropone questa scelta nel suo linguaggio, quello cinematografico: i genitori sono relegati fuori campo, i visi non si vedono e rimangono soltanto le voci.

Nel finale, Le Bon, anche autrice della sceneggiatura, si discosta dall’opera su cui è basato il suo lungometraggio. La conclusione che ha scelto per il protagonista maschile è l’emblema dell’adolescenza in sé, rappresentata come un periodo della vita al confine tra la vita e la morte. «Ci sono fantasmi che non sanno di essere morti» e sono questi fantasmi, con i loro desideri, a popolare la giovinezza. I protagonisti vivono le loro esperienze in maniera assoluta e fatalista, senza l’elaborazione emotiva tipica di chi l’adolescenza l’ha già superata e ne è uscito indenne.

Falcon Lake non si allontana molto dai cliché narrativi del coming of age. Nonostante questo limite, la regista crea uno spazio di rigorosa rappresentazione in cui si alternano inquietudini e scoperte dell’adolescenza, dentro le quali lo spettatore può ritrovare se stesso e il proprio vissuto.

Marta Faggi