“Questo film parte dall’immagine di qualcuno che porta via un bambino da un luogo in cui non sta bene”. È con queste parole che Susanne Bier (regista danese, vincitrice del premio Oscar nel 2011 per Un mondo migliore) presenta il suo ultimo film, A Second Chance, un’opera a metà tra dramma e thriller che vede nel ruolo di protagonista Nikolaj Coster-Waldau (Il Trono di Spade, Headhunters). Continua la lettura di “En chance til” (“A Second Chance”) di Susanne Bier
Archivi categoria: TFF 32 – 2014
“Cold in July” di Jim Mickle
Chiunque abbia letto uno qualsiasi dei romanzi di Joe R. Lansdale avrà percepito fin da subito la capacità dello scrittore di rendere “cinematografici” i suoi racconti. I suoi libri sono come un grande drive in, luogo tanto caro a Lansdale, in cui il lettore diventa uno spettatore che sullo schermo può trovare qualsiasi cosa: l’horror, il western, il noir, la fantascienza, il tutto sapientemente combinato in grandi storie surreali da leggere/guardare sgranocchiando pop corn. Continua la lettura di “Cold in July” di Jim Mickle
“Infinitely Polar Bear” (“Teneramente folle”) di Maya Forbes
Mark Ruffalo commuove e diverte
Dimentichiamoci la famiglia perfetta, quella in cui un bambino cresce nel migliore dei modi, mamma e papà lavorano e nessuno soffre di qualche malattia. Entriamo nel mondo di Cam (Mark Ruffalo), un uomo, un padre e un marito a cui, dopo un forte esaurimento nervoso, viene diagnosticata una forma di psicosi maniaco-depressiva, ovvero un disturbo bipolare. L’anno è il 1978 è la famiglia Stuart deve fare i conti con questo problema. Maggie (Zoe Saldana), moglie di Cam, deve prendersi tutte le responsabilità, lavorare sodo e prendersi cura delle due bambine. Ma questo non basta. Continua la lettura di “Infinitely Polar Bear” (“Teneramente folle”) di Maya Forbes
“For Some Inexplicable Reason” di Gábor Reisz
La commedia ungherese che non ti aspetti
Aron (Áron Szentesi), ventinovenne di Budapest, è il protagonista di For Some Inexplicable Reason, lungometraggio d’esordio del regista ungherese Gàbor Reisz, in concorso al 32°TFF.
Il giovane, neolaureato in cinema, non ha un lavoro e non sembra nemmeno troppo interessato a trovarne uno. Anzi, trascorre le giornate a struggersi per una recente storia d’amore miseramente fallita e a fantasticare di morire così, accasciandosi improvvisamente sul ciglio della strada, sull’autobus, nei luoghi e nelle situazioni più impensabili. Ha due genitori forse troppo oppressivi (ma non senza ragione) e un gruppo di amici fedelissimi con cui condivide grandi bevute, tutti con una carriera o con dei figli.
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“P’tit Quinquin” di Bruno Dumont
La serie tv che sembra un film
ARTE ha lasciato carta bianca al regista Bruno Dumont per realizzare questa mini serie TV. Alla serie hanno dedicato alcune pagine i Cahiers du Cinéma dello scorso settembre: nell’editoriale Stéphane Delorne ha presentato P’tit Quinquin come una “bomba” e vede nella serie un gesto radicale. I Cahiers la considerano la produzione più pazza che sia stata realizzata da molto tempo. Continua la lettura di “P’tit Quinquin” di Bruno Dumont
“The Sugarland Express” (“Sugarland Express”) di Steven Spielberg
In fuga per l’America per ritrovare noi stessi
Nel 1974, due anni dopo l’inaspettato successo di Duel, il giovane Spielberg porta sugli schermi uno dei suoi film più intimisti e sottovalutati. The Sugarland Express non è infatti solo un film on the road come tante se ne producevano all’epoca, ma è un viaggio attraverso l’amore per l’America e per il Cinema. Continua la lettura di “The Sugarland Express” (“Sugarland Express”) di Steven Spielberg
PREMIO MARIA ADRIANA PROLO 2014 A BRUNO BOZZETTO
La profondità nell’essenzialità
Vedere in una stessa sede Bruno Bozzetto e Piero Angela è un’emozione riservata a pochi. La sera del 27 novembre questo privilegio è stato concesso solo ai fortunati che sono riusciti a mettersi in coda in tempo, data la moltitudine di persone accorse in occasione dell’evento e la ristrettezza della sala Massimo 2.
Continua la lettura di PREMIO MARIA ADRIANA PROLO 2014 A BRUNO BOZZETTO
“Anuncian sismos” (“Announce Erathquakes”) di Rocio Caliri e Melina Marcow
Breve invito al suicidio
Avete presente un Manet dipinto dai carcerati? Ecco questo è Anuncian Sismos, opera prima di Rocio Caliri e Melina Marcow, giovanissime registe argentine. Il film, prodotto dalla Hulot Cine, è ispirato ad una storia vera. Una città del Nord dell’Argentina è colpita da numerosi suicidi giovanili; decide quindi di prendere precauzioni e studiare una strategia per risolvere il problema. Continua la lettura di “Anuncian sismos” (“Announce Erathquakes”) di Rocio Caliri e Melina Marcow
“Actress: Diary of a Mad Housewife” di Robert Green
Dopo aver interpretato per anni il ruolo di Theresa D’Agostino nella serie targata HBO The Wire , l’attrice Brandy Burre decide di abbandonare la carriera di attrice per dedicarsi a suoi due figli e al compagno Tim Reinke. Trasferitasi a Bancon, periferia di New York, Brandy si trova immersa in un mondo che la coglie del tutto impreparata; pannolini, bollette e pasti da cucinare sembrano non far per lei. Continua la lettura di “Actress: Diary of a Mad Housewife” di Robert Green
“Life After Beth” di Jeff Baena
C’era una volta a Zombieland…
Rampollo della middle class residente nel facoltoso quartiere di Brian Grove, Zachary Orfman (Dane DeeHan) perde l’amata fidanzatina Bethany (Aubrey Plaza) in seguito al morso di un serpente velenoso. Seguono elaborazione del lutto, chiacchiere sui budini che la ragazza mangiava da piccola, partite a scacchi fino alle tre di mattina con i genitori di lei Maury (John C. Reilly) e Geenie (Molly Shannon) che cercano di mantenere in vita il ricordo di Beth. Questa non tarda a farsi viva, come se niente fosse accaduto, come se si fosse trattato di uno scherzo di cattivo gusto. Continua la lettura di “Life After Beth” di Jeff Baena
“Whe Are What We Are” di Jim Mickle
Quello che ci fa paura di più
Chi ha detto che un remake è un film inferiore rispetto all’originale? Certamente se il nuovo prodotto non contiene nulla di più – se non addirittura meno – di quanto c’era nell’originale, allora la risposta non è altro che un “doppione”. Molte recenti operazioni di questo tipo ne sono la prova (Carrie di Kimberly Pierce, per fare un esempio). Ma se invece si parte dal prodotto originale come idea iniziale e poi si decide di prendere una strada completamente differente lavorando su elementi nuovi, allora si può realizzare qualcosa di più: si pensi a The Departed – Il bene e il male di Martin Scorsese in rapporto con Infernal Affairs di Andrew Lau. Sono due prodotti completamente autonomi. Continua la lettura di “Whe Are What We Are” di Jim Mickle
“Tôi quên rôi – I forgot!” di Eduardo Williams e “La Huella en la niebla” di Emiliano Grieco
Spazio ai giovani promettenti del panorama internazionale
Con Tôi quên rôi –I forgot, il giovane regista argentino Eduardo Williams propone questa volta un lavoro più lungo del suo precedente cortometraggio: ventisei minuti in cui mostra, in modo discontinuo, le esistenze anonime di alcuni ragazzi che trascorrono le loro giornate tra il lavoro, le uscite e il parkour. Quella che viene rappresentata è una generazione pronta a saltare da un tetto all’altro, che vive sospesa in una realtà a mezz’aria. Dichiara il regista: «Questo film è nato come un’opportunità per me di collocarmi nel luogo ipotetico che preferisco quando dirigo o guardo un film, ovvero lontano da ogni certezza. Cerco sempre di perdermi dentro queste esperienze, così da generare il vuoto che mi dà la possibilità di superare i miei limiti». L’immagine che ne risulta è quella di una quotidianità snervata e snervante, esasperata dall’uso della camera a mano. La trama risulta troppo lacunosa e la fotografia fastidiosa, se non per l’ultima ripresa dall’alto che chiarisce allo spettatore il senso della frammentarietà delle scene. Continua la lettura di “Tôi quên rôi – I forgot!” di Eduardo Williams e “La Huella en la niebla” di Emiliano Grieco
“Mange tes morts” di Jean-Charles Hue
Meglio macellai che vitelli
Mange tes morts è il peggior insulto che si possa dire ad uno zingaro ed è anche il titolo del nuovo lavoro di Jean-Charles Hue, regista che aveva già partecipato al Torino Film Festival nel 2009 con Carne viva, un ritratto di Tijuana. Il nuovo lungometraggio di Hue è un bildungsfilm che nel finale diventa un road movie dai tratti esistenzialisti. Il film, nella parte iniziale molto documentaristico, è ambientato nella comunità nomade dei Jenisch. La trama è semplice, anche fin troppo, e consiste in un viaggio tra i “gadjo” (i non gitani), per rubare un carico di rame. Continua la lettura di “Mange tes morts” di Jean-Charles Hue
“The Big Chill” (“Il grande freddo”) di Lawrence Kasdan
Scanditi dalle note di I Heard It Through the Grapevine (nella versione di Marvin Gaye), scorrono i titoli di testa, in sovrimpressione rispetto alle immagini dei protagonisti del film, ripresi nel privato delle loro reazioni alla notizia del suicidio di Alex, amico comune ed ex compagno di corsi alla University of Michigan. Questi primi e rapidi flash su ogni personaggio sono caratterizzanti: lo spettatore ha in pochi secondi la possibilità di conoscerli tutti.
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“The Theory of Everything” (“La teoria del tutto”) di James Marsh – Conferenza stampa
“Questa non è una storia sulla malattia, ma è la storia di un rapporto umano.”
Così ha dichiarato ieri alla conferenza stampa del Torino Film Festival Eddie Redmayne, protagonista del film The Theory of Everything, in cui interpreta l’astrofisico Stephen Hawking. Ed effettivamente è di questo che parla il film: è una storia d’amore. Ma tra chi? Tra Stephen e la sua prima moglie, Jane? O tra Stephen e la fisica?
Il film è l’adattamento cinematografico del libro autobiografico Travelling to Infinity: My Life With Stephen, scritto dalla prima moglie di Hawking. E The Theory of Everything comincia proprio dal primo incontro tra i due, per poi percorrere insieme gli anni in cui si sono amati e sostenuti a vicenda, hanno dato vita a una famiglia e si sono infine separati. Il film, nonostante i toni seri, riesce tuttavia a far ridere in alcuni punti. Particolarmente interessanti sono stati i ben due riferimenti alla famosa serie inglese Doctor Who, che hanno reso il film decisamente British.
Vestire i panni di Stephen Hawking non sarà stato certo facile, ma l’interpretazione di Eddie Redmayne, con il suo fascino e il suo carisma, ha convinto tutti sin da subito – tanto che potrebbe essere un possibile candidato all’Oscar come miglior attore protagonista. Ma per ora qui a Torino gli è stato consegnato ieri sera il premio Maserati.
Ieri mattina alla conferenza stampa l’attore inglese ci ha detto che, venuto a conoscenza del progetto, se ne è subito interessato, ma che non appena ottenuta la parte di Hawking, si è reso conto delle difficoltà che questo ruolo poteva comportare. Infatti, per prepararsi, è stato seguito dalla ballerina e coreografa Alexandra Reynolds, che gli ha insegnato come muovere adeguatamente il corpo e sfruttare solo certi muscoli. Inoltre l’attore si è recato in una clinica specializzata dove ha potuto studiare i disagi fisici ed emotivi dei malati di SLA.
Certamente un lavoro molto duro, a livello fisico e psicologico. Ma Eddie Redmayne ci dice che è stato soprattutto l’incontro con Stephen Hawking ad aiutarlo a calarsi adeguatamente nella parte, a fargli comprendere le più piccole sfaccettature di questo meraviglioso uomo, un’icona che sembra volerci dire sempre qualcosa in più, svelandoci i misteri dell’Universo, ma non solo.
Ed è su questo punto che che il film si sofferma. Non si parla in modo eccessivo di fisica, buchi neri o radiazione di Hawking, ma ci si concentra sui rapporti umani, sulle difficoltà che si possono incontrare lungo il cammino e che possono essere superate solo con un’enorme forza di volontà e l’affetto delle persone care. È un film sull’amore e sulle differenti modalità di amare. Ed è proprio qui che sta la “teoria del tutto”.
The Theory of Everything
Article by: Barbara Vacchetti
Translation by: Simona Restifo Pecorella
“This is not a story about a disease, but the story of a human relationship”, said Eddie Redmayne yesterday at the press conference of the Turin Film Festival. He is the protagonist of ‘The Theory of Everything’, in which he plays the astrophysicist Stephen Hawking. Actually, that is what the film is all about: it is a love story. Between whom though? Between Stephen and his first wife, Jane, or between Stephen and physics?
The film is the adaptation of the autobiographical book ‘Travelling to Infinity: My Life with Stephen Hawking’, written by his first wife. It starts right from the first meeting between them, and then proceeds along the years, when they were in love and supported each other, when they created a family and when finally got separated.
Despite the serious tones, it manages to be funny in some moments. The two references to the famous British series ‘Doctor Who’ were particularly interesting and gave it a decisive British print.
Playing the role of Stephen Hawking has not been easy, but the charming interpretation of charismatic Eddie Redmayne convinced everyone right away – maybe also earning him an Oscar nominee for best actor this year. For the time being, however, he has received the Maserati award last night in Turin.
Yesterday morning, at the press conference, the British actor told us that he was eager to participate in the film project but, as soon as he obtained the part of Hawking, he realized the difficulties this role could entail. In fact, dancer and choreographer Alexandra Reynolds followed him in the preparation of his role by teaching him how to move his body properly and to use only certain muscles. Moreover, the actor went to a specialized clinic where he could study the physical and emotional troubles caused by ALS illness.
Interpreting this role certainly involved a very hard work, both physical and psychological. However, Eddie Redmayne stated that it was primarily the meeting with Stephen Hawking that helped him immerse adequately in the role and make him understand even the smallest aspects of this wonderful, iconic man, who wants to reveal us something more than the mysteries of the Universe.
The film focuses precisely on this point. It does not say much about physics, black holes or Hawking radiations, but it rather concentrates on human relationships. The difficulties encountered along the way can only be overcome with a tremendous force of will and with the affection of caring people. It is a study on love and on different ways of loving. That is what the “theory of everything” is really about.
Foto di Bianca Beonio Bocchieri
“Waiting for August” di Teodora Ana Mihai
La storia di chi rimane
Bacau–Torino: una distanza che tiene lontano sette figli dalla loro mamma, che ha un lavoro come badante in Piemonte e non tornerà in Romania prima dell’estate successiva. Georgiana è la figlia più grande che si occupa delle faccende domestiche e dei fratelli più piccoli. Le giornate sono come quelle di qualsiasi bambino della loro età: vengono svegliati, vengono vestiti, viene fatta trovare pronta la cena. Tutto questo però è opera di una quindicenne costretta a crescere troppo in fretta. Puntualmente arriva la telefonata dalla mamma che vuole sentire tutte le sue creature dalla più piccola alla più grande, ma non può stare molto al cellulare perché incombono le faccende della famiglia italiana. Continua la lettura di “Waiting for August” di Teodora Ana Mihai
“Rada” di Alessandro Abba Legnazzi
Camogli, Casa di riposo per marittimi “G. Bettolo”. Ci porta qui Alessandro Abba Legnazzi, per mostrarci come trascorrono le loro giornate diciotto marinai ormai in pensione. Il termine “rada” designa una baia dove le navi possono ancorare e sostare al riparo dai venti e dalle correnti. La casa di riposo si trova proprio in una rada, come fosse una nave alla fonda che potrebbe partire da un momento all’altro: è il pensiero comune per gli ex-marinai che l’abitano. La rada è al contempo spazio fisico e contenitore di attese, ricordi, sogni e morte e accoglie il lento trascinarsi delle esistenze dei protagonisti la cui quotidianità è scandita unicamente dall’ora del pranzo o del sonno.
“In Jous Naam” (“In Your Name”) di Marco Van Geffen
Tra i film del TorinoFilmLab ne segnalo uno veramente interessante. Si tratta di In Jouw Naam, in inglese In Your Name, di Marco Van Geffen.
Il film narra il dramma di una coppia, Ton e Els, che perde una figlia poche settimane dopo la nascita a causa di una rara malattia. L’avvenimento porta entrambi, ovviamente, a faticare per ricominciare la propria vita.
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“The Mend” di John Magary – Conferenza stampa
John Magary e Myna Joseph pronti a svelare i retroscena del film
Oggi, 25 novembre 2014, si è svolta la conferenza stampa del film The Mend. In sala erano presenti il regista John Magary e la produttrice Myna Joseph. La prima domanda si riferisce al titolo del film, che in italiano si traduce con “il riparare”, ma che non sembra trovare corrispondenze all’interno di un film in cui tutto sembra rompersi. Il regista risponde che questo è voluto, in quanto The Mend cerca di travolgere e disorientare il pubblico. Solo alla fine si raggiunge una sorta di stabilità, qualcosa si ripara.
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