Si sono svolte il 25 e il 26 novembre le ultime due masterclass organizzate in occasione del 38 Torino Film Festival, a cui hanno potuto partecipare alcuni studenti dell’Università degli Studi di Torino e del Politecnico di Torino.
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“FUNNY FACE” DI TIM SUTTON
Funny Face si apre con il primo piano di Saul (Cosmo Jarvis), un ragazzo introverso di Coney Island, che guarda in macchina indossando una maschera dal sorriso grottesco. Come Joker, anche il protagonista del nuovo film di Tim Sutton è un reietto che brama vendetta per torti subiti. La maschera instaura così un dialogo diretto con l’iconologia pop che, a partire dall’ultimo film di Todd Phillips (Joker, 2019), ha reso quel sorriso un simbolo di oppressione.
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A 18 anni di distanza dall’ultima edizione, torna al Torino Film Festival la sezione competitiva dei cortometraggi. Due programmi, dodici corti scelti tra più di 500 titoli per sei registe e sei registi provenienti da tutto il mondo. Talenti diversissimi a confronto in un parterre eterogeneo che unisce una varietà affascinante e preziosa di tecniche ed idee. Prova dell’importanza e della forza, a livello internazionale, di un genere complesso ed esigente in grado di “restituire la macchina cinematografica in piccolo”, secondo il selezionatore Daniele De Cicco.
Continua la lettura di TORINO 38 CORTI“ZAHO ZAY” DI MAÉVA RANAÏVOJAONA E GEORG TILLER
Madagascar, terzo millennio. In una prigione dove i detenuti vivono ammassati l’uno sull’altro e hanno diritto a un’ora d’aria quotidiana in un cortile le cui condizioni di decoro sono al limite, lavora una guardia carceraria, una donna ossessionata dal ricordo del padre omicida, mai catturato e mai processato per i suoi delitti. Nel momento in cui uno dei nuovi detenuti del carcere afferma di averlo conosciuto, l’ossessione della ragazza si fa sempre più pressante.
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Article by Alice Ferro
Translated by Paola Macchiarella
“What is the cost of evoking pain, considering that it cannot be erased?”. If it is true that a photograph can stop a moment in time, Da lontano, più forte is a journey dotted with instants, memories and words, which revolutionizes the theme of coping with grief, giving it a new, more complete meaning. The director Annamaria Macripò leads us in a personal and intimate dimension, to discover a twenty-year-long diary (from 1998 to 2018), full of images and thoughts related to her mother’s illness and loss. It is all about welcoming pain -the keyword of the journey-, a full and deep acceptance of it as our own.
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“DA LONTANO, PIÙ FORTE” DI ANNAMARIA MACRIPÒ
“Quanto costa evocare un dolore visto che cancellarlo non si può?” Se è vero che una fotografia ferma un istante per sempre, Da lontano, più forte è un viaggio costellato di istanti, di ricordi e di parole che stravolge il tema del cosiddetto “superamento del lutto”, dandogli un nuovo, più completo significato. La regista Annamaria Macripò ci accompagna in un universo personale e intimo alla scoperta di un diario lungo vent’anni (dal 1998 al 2018), colmo di immagini e pensieri legati alla malattia e poi alla scomparsa della madre. Si tratta di un vero e proprio accoglimento del dolore, prima parola chiave di questo viaggio, un’acquisizione di esso come proprio, fino in fondo.
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“UN CUERPO ESTALLÓ EN MIL PEDAZOS”, DI MARTIN SAPPIA
«Nobile, grandioso, impeccabile, ogni istante si forma, si colma, si sgretola, si riforma in un nuovo istante che si crea, che si forma, che si consuma, che si sgretola e si riforma in un nuovo istante che si crea, che si forma, che si colma e si piega e si collega al seguente che si annuncia, che si crea, che si forma, che si colma e si esaurisce nel seguente che nasce, che sorge, che soccombe e nel seguente che viene, che sorge, si ripristina, matura e si unisce al seguente che si forma…E così senza fine, senza fermarsi, senza stanchezza, senza incidenti, con una perfezione smisurata e monumentale.» -Henri Michaux
«Volevo fare uno spettacolo con un linguaggio inventato da me, per riunire gente solo per una sera. […] Insistevano perché la rifacessi, ma io non volevo». Quello di Jorge Bonino (1935-1990) è teatro puro, nella misura in cui ogni sua opera, parola o azione è presenza, atto indissolubilmente legato all’istante in cui si esprime.
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Il difficile non è morire. Difficile è la vita di chi resta, dopo che la morte gli è passata davanti; e questo, Mario l’ha imparato a sue spese.
Mario (il giovanissimo Thomas Prenn) è bello, giovane, ama danzare. Mario però non è Lenz (Noah Saavedra), la giovane promessa del paese, ancora più bello, ancora più talentuoso. Mario è sopravvissuto e gli verrà domandato ad oltranza perché non è lui ad essere morto al posto di Lenz, vittima di un attentato a Roma.
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«Non c’è nulla di mistico [nel mio cinema], capitemi, ha semplicemente a che fare con la memoria, con la conservazione della memoria degli altri e cosa fare con il passato».
Queste parole rivelano la modestia di un grande artista nell’inseguire un obiettivo preciso: scolpire con le immagini un mondo ormai irreversibilmente trasformato. La cinepresa si rivela essere lo strumento perfetto per scrutare la vita di un paese che, a piccoli passi, dimentica il suo recente passato e comincia a riscoprire le gioie di tempi ben più lontani: un arcaico amore per l’esistenza che ritrova spazio sulla pellicola cinematografica. Marcel Khutsiev, regista di punta di quella “nuova onda” nata in Unione Sovietica dopo la morte di Stalin, rivive a sua volta sugli schermi del Torino Film Festival nella sezione “Back to Life” con il suo lungometraggio Iyulskiy dozhd (July Rain) del 1967.
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Una linea, un taglio, un’inquadratura. Questi sono gli strumenti usati dal regista Philip Rizk per tracciare il suo ambizioso percorso di ricostruzione della lunga e complessa storia del colonialismo e delle sue conseguenze che continuano a tormentare i territori più fragili, rimasti privi di sostentamento e in balia del caos. Una sorte condivisa dall’America conquistata dai cowboy fino alla Siria dei giorni nostri.
“BREEDER” di JENS DAHL
In un’ex fabbrica di zucchero riadattata a laboratorio per la sperimentazione di terapie in grado di fermare l’invecchiamento, la dottoressa Ruben (Signe Egholm Olsen) conduce i suoi esperimenti, supportata finanziariamente da Thomas (Anders Heinrichsen). Le teorie della dottoressa, nello specifico una veterinaria, le consentono di trovare presto una cura efficace solo per gli uomini. La terapia per le donne, invece, non è così immediata e richiede ricerche supplementari, che vengono eseguite su cavie – tra le quali anche Mia (Sara Hjort Ditlevsen), moglie di Thomas – che vengono rapite dai due assistenti uomini di Ruben, il Cane e il Maiale.
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La seconda Masterclass del 38° Torino Film Festival si è svolta domenica 22 novembre e ha ospitato il regista Aleksandr Sokurov e i suoi allievi dell’Università Statale di San Pietroburgo. Come precisato da Alena Shumakova, curatrice dell’incontro, il maestro Sokurov non ha bisogno di molte presentazioni: autore di documentari, elegie e film innovativi (fra i tanti, Arca russa, 2002), è uno dei più importanti registi russi. In questa sede, comunque, Sokurov ha preferito dare rilievo alla sua attività didattica, lasciando spazio al dialogo tra i suoi studenti e quelli dell’Università e del Politecnico di Torino. Questi ultimi, infatti, hanno potuto visionare in anteprima Il tempo degli inizi (2020), l’insieme di cortometraggi realizzati dagli allievi russi. In merito a queste opere, il maestro ha precisato che nel suo percorso di docente cerca sempre di non influenzare gli studenti con la sua personale visione di cinema; ogni studente presenta caratteristiche e influenze diverse, che vanno coltivate e preservate. Gli studenti a loro volta hanno confermato questo modus operandi: il maestro apre orizzonti di possibilità, senza mostrare esempi concreti.
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Nel cuore degli Appalachi, a circa trecento metro di altezza sorge Talcum, un piccolo insediamento indipendente dall’amministrazione locale. Brian Ritchie e la sua famiglia vivono da decenni in questa zona, un tempo terra di miniere. Hanno visto svilupparsi un mix esplosivo di declino economico, disastro ecologico e violenza sociale. Li chiamano hillbillies, cioè bifolchi, zotici montanari, un insulto diventato per molti un segno identitario. Tra questi lo stesso Brian, che vive intrappolato tra un passato mitico e un futuro senza prospettive. È uno degli ultimi testimoni di un mondo in estinzione che, proprio per questo, ispira la sua poesia.
Continua la lettura di “THE LAST HILLBILLY” DI DIANE SARA BOUZGARROU E THOMAS JENKOEITALIANA.CORTI
Ripartiti in due programmi distinti di circa un’ora ciascuno, sono otto i film che compongono la sezione competitiva ITALIANA.CORTI del 38° Torino Film Festival. La varietà di sguardi è notevole, ma forse c’è un filo rosso che li unisce e che va ricercato nell’attenzione che quasi tutti i registi rivolgono a storie intime e quotidiane, spesso capaci di elevarsi, talora inaspettatamente, verso i territori dell’epica. Soprattutto, li accomuna una vivace ricerca linguistica, che nella sperimentazione quasi disperata di nuove soluzioni espressive ricorre in molti casi al materiale d’archivio, al found footage, al Super 8, al collage.
Continua la lettura di ITALIANA.CORTI“CLEANERS” DI GLENN BARIT
Gli “addetti alle pulizie”, a cui fa riferimento il titolo, sono un gruppo di otto studenti e studentesse di una rigida scuola cattolica delle Filippine. Vengono definiti così perché sono protagonisti di quattro vicende in cui sono costretti a rispettare ottuse regole educative che impongono di essere puliti e corretti a tutti i costi. Cleaners descrive anche le pressioni che i ragazzi subiscono da un mondo che invece è sporco e superficiale.
Continua la lettura di “CLEANERS” DI GLENN BARIT“REGINA” DI ALESSANDRO GRANDE
Regina, unico film italiano in concorso al Torino Film Festival 2020, è il primo lungometraggio di Alessandro Grande.
La grande esperienza del regista con la forma cortometraggio risuona nella maestria nel narrare una storia in un tempo più dilatato, senza perdere mai l’attenzione dello spettatore. Un turbinio di musica, sguardi, silenzi e bugie confluiscono in un vero e proprio racconto di formazione. Ad esserne protagonisti sono la giovane Regina (Ginevra Francesconi) e suo padre Luigi (Francesco Montanari), impegnato ad aiutare la figlia a coronare il sogno di diventare cantante con ogni possibile sotterfugio; stesso obiettivo che lui ha dovuto abbandonare dopo la morte della moglie. Tutto cambia però quando un evento imprevisto sconvolge le loro vite.
Continua la lettura di “REGINA” DI ALESSANDRO GRANDE“AL LARGO” DI ANNA MARZIANO
“Un’esperienza straniante e fantasmagorica”: così Anna Marziano definisce il suo Al largo, film metamorfico e complesso, che unisce ricerca filosofica e sapienza cinematografica. Il documentario si propone di frequentare il dolore legato alla malattia, in un terreno d’indagine atemporale che mette in dialogo l’esperienza personale dell’autrice con la lettura di Nietzsche e Winnicott.
Continua la lettura di “AL LARGO” DI ANNA MARZIANO“A RIFLE AND A BAG” DI CRISTINA HANES, ISABELLA RINALDI, ARYA ROTHE
Nella jungla indiana, a partire dagli anni Sessanta, opera il gruppo maoista militante dei naxaliti, preposto alla tutela (anche violenta) delle minoranze tribali del sub-continente. Dalla loro fondazione, questi gruppi armati hanno rivestito il ruolo di “nemico pubblico n.1” per la sicurezza interna del Paese.
Per i ribelli che si fossero arresi sono però sempre state garantite la totale amnistia e la protezione dalle ritorsioni dagli ex compagni di militanza, all’interno di comunità ben salvaguardate. Ed è su una di queste realtà di “rifugiati” che si concentra A Rifle and a Bag, opera prima del collettivo “NoCut Film”, formato da Cristina Haneş, Isabella Rinaldi e Arya Rothe.
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Se la critica cinematografica specializzata si è trovata a tratti spiazzata per il cambiamento nelle forme e nelle modalità di fruizione del cinema, al contempo si sono delineate nuove prospettive di collocazione rispetto alla sfera discorsiva del film e degli strumenti per approcciarla. Soprattutto se nel film in questione, come in questo caso, campeggia la voglia di mandare a quel paese un certo tipo di pubblico. Premessa fatta, è complesso cercare di approfondire Fried Barry senza snaturarlo, come non è indispensabile setacciarlo per estrapolare quella riflessione critica in più che “stroppierebbe il troppo”.
Continua la lettura di “FRIED BARRY” DI RYAN KRUGER“EYIMOFE” DI ARIE E CHUKO ESIRI
Eyimofe (This is my desire), primo lungometraggio dei fratelli Arie e Chuko Esiri è, come si può facilmente indovinare dal titolo, un film sul desiderio. I due protagonisti del film, Mofe e Rosa, sognano di lasciare la Nigeria ed emigrare all’estero: nessuno dei due vi riuscirà ed entrambi impareranno a caro prezzo a non confondere il proprio desiderio con la sua soddisfazione. Continua la lettura di “EYIMOFE” DI ARIE E CHUKO ESIRI