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“NOS BATAILLES” BY GUILLAUME SENEZ

Article by: Gianmarco Perrone

Translation by: Gianmarco Caniglia

Two battles, running in parallel but intertwined, are evoked by the title of this brilliant feature and told with remarkable mastery.

Turin’s audience already knows Guillaume Senez for his debut film Keeper, winner of the Turin Film Festival in 2015. This year the French-Belgian director competes in the main section with Nos Batailles, that investigates the difficulties of a man facing the collapse of his every certainty.

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“DOVLATOV” DI ALEKSEY GERMAN JR.

Tra il biopic e l’invenzione, Dovlatov è la storia di un uomo che, nel suo vagabondare, intercetta storie di corpi e volti che gli sono incidentali – storie di resistenza (e non di dissidenza) contro il potere e i suoi dispositivi banali, in questo caso soprattutto editoriali. Perché Dovlatov, scrittore e giornalista nella Russia sovietica degli anni ’70, non riesce a farsi pubblicare, colpevole di inopportuna ironia e troppa fraintendibile sincerità. Accanto a lui le storie di quella gran folla di personaggi che popola gli spazi dell’ambiziosissima messa in scena che ricostruisce magnificamente un’epoca. Ed è questa galassia di volti russi e di corpi nomadi che costellano il tragitto esistenziale di Dovlatov, la forza viva del film.

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“LES GRANDS SQUELETTES” DI PHILIPPE RAMOS

Le domande universali che l’individuo si pone quotidianamente prendono vita in Les grands squelettes, un fotoromanzo eterodosso del regista transalpino Philippe Ramos. Già associato a punte di diamante della scena autoriale francese come Leos Carax e Yves Caumon, Ramos presenta la sua ultima creatura nella sezione Onde, la più sperimentale del festival. Continua la lettura di “LES GRANDS SQUELETTES” DI PHILIPPE RAMOS

“THE WHITE CROW” DI RALPH FIENNES

Un biopic sulla vita di Rudolf Nureyev,  il grande ballerino, è la terza opera alla regia di Ralph Fiennes, noto al pubblico per la sua carriera di attore (Harry Potter, Schindler’s List, Grand Budapest Hotel, per citare solo alcuni dei titoli più noti) e che nel proprio film decide di interpretare la parte del maestro di ballo all’Accademia di danza di San Pietroburgo (all’epoca Leningrado).

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“THE WHITE CROW” BY RALPH FIENNES

Article by: Samuele Zucchet

Translation by: Giulia Quercia

A biopic about the life of the famous dancer Rudolf Nureyev, is the third director work of Ralph Fiennes, well known for his acting career (Harry Potter, Schindler’s List, Grand Budapest Hotel, to name some of the most notorious titles). In this own film, Fiennes decides to play the dance teacher of the dance Academy of St. Petersburg (at that time, Leningrad).

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“SANS RIVAGES” DI MATHIEU LIS

A volte si possono incontrare per strada persone che non si conoscono e notare in loro uno sguardo perso e smarrito. Dal volto di un individuo possiamo immaginare la sua storia, da dove viene, cosa ha fatto, perché è solo.

Nel dibattito che ha seguito la proiezione di Sans Rivages, il regista Mathieu Lis ha parlato proprio delle suggestioni che possono venire dagli sconosciuti, suggestioni che lo riconducono al personaggio del suo film. Il protagonista infatti potrebbe essere l’emblema di uno di quegli uomini di cui non conosciamo la storia e Lis stesso ha affermato di non avere idea di quale possa essere stata la vita di Andrea, ma di aver seguito l’istinto nel raccontare gli eventi del film.

Sans Rivages  racconta di un uomo anziano la cui esistenza è in declino a causa dell’alcolismo. La narrazione si articola su due livelli: da un lato l’immaginazione, ovvero ciò che Andrea pensa di vivere durante i suoi deliri causati dall’alcool, e dall’altro la realtà, che lo mette di fronte alla sua solitudine e alle sue paure.

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“MADELINE’S MADELINE” DI JOSEPHINE DECKER

Una donna che parla di emozioni ad un gatto. Forse.
Una ragazza che fa le fusa a sua madre come se fosse un gatto.
Alcune donne che si muovono su un palco con addosso delle teste di maiale finte, inquietanti come se fossero vere.
Queste alcune immagini mostrate nei primi cinque minuti del nuovo lungometraggio di Josephine Decker che torna al Torino Film Festival con il suo ultimo film. La confusione che ne deriva è l’unico elemento certo che è permesso percepire allo spettatore, e si afferma immediatamente come marca di quest’opera, conturbante tanto nei contenuti che nelle modalità di rappresentazione. Continua la lettura di “MADELINE’S MADELINE” DI JOSEPHINE DECKER

“MADELINE’S MADELINE” BY JOSEPHINE DECKER

Article by: Alessia Durante

Translation by: Letizia Bosello

A woman talking about emotions to a cat. Maybe. A girl purring to her mother as if she was a cat. Some women wandering on a stage with fake pork heads on, creepy as if they were real. These are some of the images shown in the first five minutes of Josephine Decker’s new feature film, presented at the Torino Film Festival. The resulting confusion is the only certain element perceived by the audience, and it immediately appears as the film’s main feature, which is disturbing both in contents and in representation. Continua la lettura di “MADELINE’S MADELINE” BY JOSEPHINE DECKER

“RELAXER” BY JOEL POTRYKUS

Article by: Cristian Viteritti

Translation by: Massimo Campostrini


There are films easy to review and others that are difficult. Relaxer, directed by the American director Joel Potrykus, deserves to enter the second category. The film is certainly one of the most singular and eccentric experiences of the Torino Film Festival: not only comedy and drama, but also science fiction and gore – shown in a totally unexpected way – come together in a mixture ready to explode in the most catastrophic event among all: the Apocalypse.

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“RELAXER” DI JOEL POTRYKUS

Ci sono film facili da recensire e film difficili. Relaxer, dell’americano Joel Potrykus, si merita a pieno di entrare nella seconda categoria. Il film è sicuramente una delle esperienze più singolari ed eccentriche del Torino Film Festival: non solo commedia e dramma, ma anche fantascienza e gore – in maniera del tutto inaspettata – si uniscono in una miscela pronta a esplodere nell’evento più catastrofico fra tutti: l’Apocalisse. Continua la lettura di “RELAXER” DI JOEL POTRYKUS

“PROCESSO A CATERINA ROSS” DI GABRIELLA ROSALEVA

“Questo film è uno sguardo che guarda, non tutti gli sguardi guardano ma lui lo fa, è vivo, attento.
Non falsifica, non aggiunge, non ci sono effetti speciali.
Non vuole accalappiare lo sguardo del pubblico, mostra la realtà per com’è: dura e crudele.
Questa realtà non è piacevole ma va guardata, non bisogna mai abbassare la guardia”.

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“ZGODOVINA LJUBEZNI/HISTORY OF LOVE” DI SONJA PROSENC

Nella staticità e nel silenzio irrompe sullo schermo un brusco e improvviso fragore: si tratta del corpo della protagonista, Iva, che si immerge, tuffandovisi, in un corso d’acqua. È questo uno dei frammenti iniziali di History of Love, pochi secondi in cui sono anticipati elementi significativi e ricorrenti all’interno del film.
Si tratta dell’opera seconda di Sonja Prosenc, regista slovena che ha attirato su di sé l’attenzione della critica tramite il precedente The Tree.

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“LAND” BY BABAK JALALI

 

Article by: Annagiulia Zoccarato

Translation by: Emiliana Freiria

 

The contemporary history of Native Americans is sad and scarcely talked about, but the Torino Film Festival seems to hold those who tell it in high regard. After Avant les rues, competing in Torino 34, and the excellent Wind River by Taylor Sheridan, previewed last year, the next one is Land by the Iranian film director Babak Jalali, made with the support of Torino Film Lab.

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“LAND” di BABAK JALALI

La storia contemporanea dei nativi americani è una storia triste di cui si parla poco, ma il Torino Film Festival sembra in un certo senso avere un occhio di riguardo per chi la racconta. Dopo Avants les rues in concorso a Torino 34 e l’ottimo Wind River di Taylor Sheridan presentato in anteprima lo scorso anno, adesso tocca a Land dell’iraniano Babak Jalali, realizzato con il sostegno di Torino Film Lab.

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“DREAM OF A CITY” DI MANFRED KIRCHHEIMER

Manfred Kirchheimer, classe 1931, ha recentemente dichiarato che non è mai, nella sua lunga carriera da regista, riuscito a coprire i costi dei suoi film con gli incassi. Ed è a questo punto che un vero cinefilo drizza le orecchie e si segna il nome sul taccuino, perché le alternative sono due: il regista tedesco, adottato newyorkese, è frainteso ma testardo, oppure è completamente dislocato dalle logiche di introito che tanto guastano l’arte cinematografica. Per quanto riguarda Dream Of A City, è la seconda. L’attitudine veritiera con cui viene analizzata e scomposta la vita urbana nella Grande Mela, rende questa pellicola di 39 minuti un gioiello del cinema d’essai. Continua la lettura di “DREAM OF A CITY” DI MANFRED KIRCHHEIMER

“TREVICO-TORINO” BY ETTORE SCOLA

Article by: Elia Ariel Diamond

Translation by: Melania Petricola

“But you are going to school…you went to school. If not, how can you say that books are like skylarks? I want to understand that. Then, I can criticise it. But only after understanding, and not just because you say so.”

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“HAPPY NEW YEAR, COLIN BURSTEAD” BY BEN WHEATLEY

Article by: Elisabetta Vannelli

Translated by: Alice Marchi

“If they don’t dance, they fight”. With these words Colin, the oldest son, tries to keep his relatives from fighting. The Bursteads are a disfunctional family, who decides to spend New Year’s Eve in a country villa in Dorset. Colin tries to keep everything under control but the sudden comeback of his brother David – reckless womanizer who abandoned his wife and kids –  brings back his old deep resentment against him. Continua la lettura di “HAPPY NEW YEAR, COLIN BURSTEAD” BY BEN WHEATLEY

“HAPPY NEW YEAR, COLIN BURSTEAD” DI BEN WHEATLEY

“Se non ballano, si picchiano”. Con queste parole Colin, il figlio maggiore, cerca di prevenire possibili scontri tra i suoi parenti. I Burstead sono una famiglia disfunzionale che decide di trascorrere la serata di Capodanno in una villa di campagna del Dorset. Colin cerca di tenere le redini ma il ritorno improvviso del fratello David – donnaiolo incallito che, abbandonati moglie e figli, torna dopo cinque anni per redimersi – fa riemergere in lui un profondo risentimento nei confronti del fratello. Continua la lettura di “HAPPY NEW YEAR, COLIN BURSTEAD” DI BEN WHEATLEY

“HEVI REISSU/HEAVY TRIP” BY JUUSO LAATIO AND JUKKA VIDGREN

Article by: Maria Cagnazzo

Translation by: Cristiana Manni

The real essence of humour is very difficult to understand and, very often, many movies with humorous purposes seem to be unable to reach their goals. Telling a simple story, making it meaningful only with humour is a particularly complex operation.

I’m making this introduction because Heavy Trip, Finnish movie presented in the After Hours section at the Torino Film Festival, first of all, gave me the impression of being totally and happily focused on humour. On a cold morning in Turin, together with a laughing and clapping audience in theatre 1 at Cinema Massimo, I grasped an irony that preceded any other possible reasoning on the film.

On the screen, in a close-up, we can see a reindeer crossing the road and, in the distance, out of focus, the main character walking and dragging his rusty bike. The premises are pretty clear: the protagonists of this odd story will be Finland, its distinctive landscape, its animals and the people who live there.

A Heavy Metal band tries to make a name for itself in a small village far away from us, where “loud” music is not common, where people who have long hair are considered “homo”, and, more importantly, where the stereotype tends to creep into everyday life. Heavy Trip has all the hallmarks of a road movie: the band follows the dream of doing a concert in Norway and will be willing to do anything to reach its destination, finding itself in very unlikely situations.

 

 

The irony of the film is simple and irreverent at the same time, and the spectator finds himself laughing at situations that he probably would not perceive in the same way in real life. The screenplay makes constant reference to the stereotypes about Heavy Metal and aims to make the main characters look funny and ridiculous, dispelling all the still persistent myths about this kind of music. Therefore, there is a reversal of positions: those who feel superior and in the position of ridiculing the others are shown here in a comic and farcical way. Thus, a comedy of misinterpretations takes place, where the misunderstanding becomes the element which provokes the laughter. The prejudice and the stereotype turn the characters into caricatures. So, for example, it may happen that the police mistake a group of masked boys who are celebrating a hen party for terrorists.

The sequences in which the band plays in the basement are assembled like a real metal videoclip, with details of the fingers moving on the bass and close- ups of a caged doll hanging from the ceiling. When the spectator is involved in a visual and auditory climax, the myth is going to crumble, as soon as the mother tells the boys that the reindeer dinner is ready. The idea of tough-looking “metalheads”, that frighten those who met them, is constantly overturned by the mild-mannered and almost compliant character of the protagonists who, overwhelmed by the events, carry out accidentally rebellious actions.

Each character is characterized to the point of becoming grotesque, and the spectator has to immediately distinguish the “good” from the “bad” guys. A narrative structure that may almost appear ordinary, but that never looks obvious thanks to the humour that supports the entire story in an excellent manner. Everything is the opposite of what it seems: the authors of Heavy Trip have taken literally the meaning of “irony”, understood as concealment, “feeling of the opposite”, giving to the audience a simple and funny comedy that is able to leave you with a smile even after the ending credits.

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