Il titolo della masterclass del regista israeliano Avi Mograbi, Breve manuale per liberare il cinema dal reale – incursioni documentarie di Avi Mograbi, è decisamente esplicativo. Riflette quello del suo film presentato nella sezione TFFDoc / Fuori concorso: The First 54 Years – An Abbreviated Manual for Military Occupation, e sottende il medesimo approccio: partire dalle immagini specifiche – nel caso della masterclass i lungometraggi Z32 (2008) e The First 54 Years, nel caso del film l’archivio di interviste dell’associazione Breaking the Silence – per ricavare nei rispettivi campi di pertinenza – la strategia militare e il cinema documentario – delle riflessioni più ampie e applicabili in contesti differenti.
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“THE DAY IS OVER” DI QI RUI
Al suo debutto cinematografico Qi Rui presenta in Concorso la toccante storia di Zhang Jiaxing (Li Yingchun), una bambina di dodici anni in fuga da un mondo opprimente e soffocante. La protagonista, infatti, vive in un villaggio estremamente povero nelle montagne della Cina e un giorno viene presa di mira dai suoi compagni di classe, perché erroneamente accusata di furto.
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Ispirato ai fatti realmente accaduti narrati nell’omonimo romanzo del 1884 di Enrico Costa , Il muto di Gallura è l’unico lungometraggio italiano in concorso al TFF 39. Nella Sardegna di metà Ottocento, una faida scoppia tra due famiglie galluresi innescando un conflitto che attraverso una catena di torti reciproci si protrae per diversi anni; in nome dell’antica e sacra legge del taglione, ben 70 persone vengono uccise, molte per mano di un ragazzo sordomuto, Bastiano Tarsu.
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“Somos malas, podemos ser peores” Siamo cattive, possiamo esserlo di più.
Le note di una tromba nel silenzio di una sala di registrazione sembrano presagire il boato di un terremoto. Così si apre il documentario di Dora Garcia, quasi celando – temporaneamente – la dirompenza dell’argomento che tratterà. È la musica, infatti, il germe di quest’opera, il cui titolo è la traduzione spagnola di “Wenn ich mir was wünschen dürfte”, una canzone del compositore tedesco Friedrich Holländer… se potessi desiderare qualcosa. Le delicate sessioni di registrazione si alternano alle intense immagini delle lotte del movimento femminista che da cinque anni travolgono Città del Messico. La delusione, la sofferenza inascoltata delle donne, si protraggono da così a lungo che la tristezza, la vulnerabilità derivata dall’abbandono, si sono trasformate in scudo e spada allo stesso tempo. Questo è ciò che la canzone comunica, riecheggiando per l’intera durata del film.
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Article by Davide Gravina
Translated by Valerio Copponi
Never-ending opening credits, accompanied by shots of race cars burning rubber and going around in endless circles open the first feature film by Philippe Grégoire, premiered in competition at TFF39. The film, without sacrificing its biting humour, recounts a piece of Alexander Mastrogiuseppe’s life (Robert Naylor), a boy raised in Napierville, a remote and forgotten Canadian village, who leaves his birthplace to go work as a customs officer on the border between the US and Canada. Grégorie describes the same path which he has walked himself, going from living in his hometown to working as a customs officer, to be able to pay for his film studies. Migration towards a different world is just one of many points of contact between the director’s life and the protagonist’s. Indeed, he focuses on the cultural background to which he is bound, thanks to the racetrack built by his grandparents in Napierville.
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Article by Cristian Cerruti
Translated by Francesca Luna Lombardo
“Why can’t a woman be named Luciano?”
Lucy Salani
C’è un soffio di vita soltanto, presented in the section “Fuori concorso / L’incanto del reale”, tells the story of Luciano Salani, the oldest living transsexual in Italy, whose existence was marked by survival in the Dachau concentration camp. Starting from the idea of making a documentary on the story of a survivor, Botrugno and Coluccini find themselves faced with a character who goes far beyond any possible categorisation. Lucy is fluid, multifaceted, alien. A fluidity that emerges right from her choice to keep her first name: Luciano. The proposal to officially change her name to a feminine one, made several times to Lucy, has always received a negative answer. The name is not seen as a label to define her gender, but represents the memory of her parents, a memory that forges Lucy Salani’s personality.
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«Se sopravvivo, vi uccido tutti» . Bull (Neil Maskell), rivolto ai suoi nemici, che un tempo erano la sua famiglia, pronuncia queste parole che sembrano costituire il banale prologo per un classico revenge movie. Il regista britannico, però, stupisce il pubblico del TFF39 e presenta una straordinaria opera che ha la sua essenza non nell’insperato e disperato bisogno di vendetta, ma in una spietata ricerca di salvezza.
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Grazie al perfetto restauro del Centro Sperimentale di Cinematografia, particolarmente attento a curare le tracce sonore (fondamentali per il senso del film), e alla presentazione nella sezione “Back to Life” del TFF39, il pubblico torinese ha potuto vedere, molto probabilmente per la prima volta, Number One di Gianni Buffardi (1973). L’opera, nonostante faccia della confusione il suo marchio distintivo e la sua ragion d’essere, è pervasa da una lucida follia e da una chiarezza d’intenti spesso sconosciuta ai “poliziotteschi” che in quel periodo inondavano i cinema italiani.
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Presentato fuori concorso al TFF39, Quattordici giorni è il quarto lungometraggio di Ivan Cotroneo, affermato autore televisivo e sceneggiatore italiano che firma l’adattamento di un suo omonimo romanzo del 2020, scritto a quattro mani con Monica Rametta, co-sceneggiatrice anche di questa trasposizione.
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Article by Sara Longo
Translated by Mattia Prelle
The incorruptible agent Cheung Sung-bong (Donnie Yen) and his former partner Yau Kong-nao (Nicholas Tse) portray two faces of the same coin: facing each other is more or less like watching your own reflection through an opaque glass without recognizing yourself. Their destinies, indissolubly interwoven, could have switched, if they would have made different choices a long time ago. But now that the past is knocking at their door the time has come at last to settle the score.
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Article by Marco Ghironi
Translated by Elèna Bellino
The radiant lightheartedness of youth in 1940s France, scourged by anti-Semitic laws. “Une jeune fille qui va bien” is the debut full-length movie by Sandrine Kiberlain, presented in May during la Semaine de la Critique in Cannes and in competition at the Torino Film Festival 39.
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Article by Niccolò Buttigliero
Translated by Lorenzo Papa and Elena Soldà
Bipolar inaugurates the new section of the Torino Film Festival called “Incubator”, a new space dedicated to idiosyncratic gazes, to what cannot be pigeonholed. A feverish creative buzz that Queena Li perfectly conveys in her movie.
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Article by Lisa Cortopassi
Translated by Rebeca Tirgovetu
Extraneous Matter – Complete Edition starts as an intimist movie with a “modest” (but steady) black and white 4:3 format and the familiar image of a bonsai, followed by a close-up of a sleeping girl who, once she has woken up, makes herself some coffee. Later the film, once the episodic nature is revealed, unexpectedly expands its gaze and leaves the domestic dimension of the girl’s house (who is not the main character) to turn to other characters and to the big city. In this way, it extends its reflection to a universal dimension deeply related to the demons of the contemporaneity.
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Article by Giulia Seccia
Translated by Federica Maria Briglia
Mariangela Ciccarello’s movie, shown in the “Italiana.doc” section, presents itself as a documentary that follows the daily life of two actresses, Angela and Paola. It is focused on their rehearsals of dialogues about the mythical characters of Ulysses, Circe and Calypso. However, the dimension of reality constantly and gradually overflows into a dreamlike dimension, enveloping the protagonists’ bodies and fading their contours along with their words, especially when they act. In those moments, the Italian language of their dialogues mixes with the Neapolitan dialect of their considerations on the mythical characters.
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Article by Michelangelo Morello
Translated by Martina Rosso
“Per gli umani non c’è nessuna cosa reale se non è raccontata”
“To humans, nothing is real if it’s not told”
Alessandro Baricco
The village elders gather around the fire to tell ancient country stories that have influenced popular culture, and which are now shrouded in the mantle of legend. They evoke and give life to mythical characters, men who have challenged princes and kingdoms in the name of justice, freedom and love and who have distinguished themselves for their virtues or for having committed “deeds”.
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Article by Elio Sacchi
Translated by Mirko Giumentaro
Laura Samani starts from the base elements with which she gets her hands dirty: water and blood, milk and tears. But above all, she draws on the rituals and popular beliefs of a fishing village in Friuli, an area far from the advent of “progress” and “modernity” (light bulbs seem like a joke), suspended in an almost ahistorical, mythical, and archaic time. Agatha’s stillborn daughter cannot be baptized and she is therefore destined to wander eternally in limbo, unless her mother sets off to reach the distant and cold Val Dolais, where there is a sanctuary of breath where the miracle takes place: the stillborn child is brought back to life for the duration of one breath, enough to make it able to be baptized and named.
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“Perché una donna non può chiamarsi Luciano?”
Lucy Salani
C’è un soffio di vita soltanto, presentato nella sezione “Fuori concorso / L’incanto del reale”, racconta la storia di Luciano Salani, la transessuale più anziana d’Italia, segnata dalla sopravvivenza al campo di concentramento di Dachau. Partendo dall’idea di realizzare un documentario sulla storia di una sopravvissuta, Botrugno e Coluccini si trovano di fronte a una figura che va ben oltre qualsiasi possibile incasellamento. Lucy è fluida, sfaccettata, aliena. Una fluidità che emerge fin dalla scelta di mantenere il proprio nome di battesimo: Luciano. La proposta di modificare ufficialmente il suo nome al femminile, fatta più volte a Lucy, ha sempre ricevuto infatti una risposta negativa. Il nome non viene visto come un’etichetta per definire il proprio gender, ma rappresenta la memoria dei propri genitori, una memoria che forgia la personalità di Lucy Salani.
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Infiniti titoli di testa, accompagnati da immagini di macchine da corsa che, sgommando, compiono infiniti giri su sé stesse, aprono il primo lungometraggio di Philippe Grégoire, presentato in concorso al TFF39. Il film, non rinunciando a un pungente umorismo, racconta uno squarcio della vita di Alexander Mastrogiuseppe (Robert Naylor), cresciuto a Napierville, sperduto e dimenticato paesino canadese, che si allontana dal suo luogo natale per lavorare alla dogana tra U.S.A. e Canada. Grégorie racconta lo stesso percorso che ha vissuto lui passando dalla vita nel suo paesino natio al lavoro come doganiere per potersi pagare gli studi di cinema. La migrazione verso un mondo altro è solo uno dei punti di contatto tra la vita del regista e quella del protagonista. Grégorie si concentra infatti proprio su quell’humus culturale cui lui stesso è legato grazie alla pista per gare automobilistiche che i suoi nonni costruirono a Napierville.
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La regista francese Mia Hansen-Løve, con Bergman Island, costruisce un film che, riprendendo i temi a lei cari e mettendo in discussione il suo stile di sceneggiatura, si trasforma in una profonda (auto)riflessione sul processo creativo dell’artista. Per far ciò, mette in scena un vero e proprio alter ego, che ha le fattezze di Chris Sanders (Vicky Krieps), regista e sceneggiatrice. Chris, in compagnia del marito Tony (Tim Roth), anch’egli cineasta, si stabilisce per un’estate a scrivere il suo prossimo film sull’isola svedese di Fårö, celebre residenza di Ingmar Bergman.
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In lignua ciadiana, la parola “Lingui” indica il precetto di convivenza armonica tra i membri di una comunità. Non è specificato da quanti membri tale comunità debba essere costituita, e l’armonia che regola la loro convivenza può essere spezzata da fattori di vario tipo. Nel caso di Amina (Achouackh Abakar), venditrice ambulante di cesti ricavati da reti metalliche, e di sua figlia Maria (Rihane Khalil Ario) si tratta della gravidanza indesiderata di quest’ultima, che potrebbe potenzialmente distruggere le loro esistenze. Da una parte il terrore di subire l’ostracismo della comunità islamica conservatrice di cui fanno parte, dall’altra la prospettiva ancora più spaventosa di far abortire la ragazza. Nonostante l’apparente impossibilità di portare a compimento una simile impresa, Maria è determinata a non tenere il bambino e Amina non potrà non starle accanto.
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