Notte Horror TFF34

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Mattia Capone

Translation by: Federica Betti, Ilaria Loiacono

After last year’s success, the Horror Night returns to the Torino Film Festival 2016. They projected three consecutive horror movies from midnight to the first lights of dawn. The event was widely expected and a lot of people were queuing in front of the movie theatre Cinema Massimo. The audience warmly welcomed the announcer of the Horror Night, Emanuela Martini, with applauses and enthusiasm.

Continua la lettura di Notte Horror TFF34

Notte Horror TFF34

Dopo il successo dell’anno scorso, la Notte Horror torna al Torino Film Festival 2016. Tre film horror proiettati in fila a partire da mezzanotte fino alle prime luci dell’alba.
Grande attesa per l’evento, confermata dall’interminabile fila di persone davanti al cinema Massimo, e calorosissima accoglienza del pubblico che si fa sentire fin da subito con applausi ed acclamazioni per Emanuela Martini alla presentazione.

Continua la lettura di Notte Horror TFF34

Lady Macbeth by William Oldroyd

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Annagiulia Zoccarato

Translation by: Elisa Grattarola, Elena Salama

As soon as the closing credits – no music in the background – rolls down, the theater is immersed in an absolute silence, because what has just been watched goes beyond any expectation. It is rather shocking.

William Oldroyd – well-established theater director, who made a couple of short movies – achieves the full-length movie, transferring on the screen the adaptation of the novel by Nicolaj Leskov, Lady Macbeth of the Mtsensk District. With the complicity of the screenwriter Alice Birch, he transforms it, though, into a story that could be easily written by many British authors of mid-1800s. Almost as if was a gothic and gloomy version of the Brontë sisters’s intrigues.

Continua la lettura di Lady Macbeth by William Oldroyd

“Lady Macbeth” di William Oldroyd

Nel momento in cui sullo schermo cominciano a scorrere – muti – i titoli di coda di Lady Macbeth, la sala è immersa in un silenzio totale, perché quello che si è appena visto si è rivelato essere molto più di quanto ci si potesse aspettare. Spiazzante.

William Oldroyd, affermato regista teatrale con alle spalle un paio di corti, approda al lungometraggio portando in scena l’adattamento del racconto di Nikolaj Leskov Lady Macbeth del Distretto di Mcensk. Con la complicità della sceneggiatrice Alice Birch, lo trasforma però in una storia che potrebbe tranquillamente essere opera di un autore o di un’autrice della Gran Bretagna di metà Ottocento, quasi si trattasse di una versione gotica e lugubre delle vicende delle sorelle Brontë. Continua la lettura di “Lady Macbeth” di William Oldroyd

Porto by Gabe Klinger

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Carlo Montrucchio

Translation by: Federica Betti, Ilaria Loiacono

A city where students and seagulls live happily together and where, after losing their freedom, both Jake and Mati find solace. The two main characters are Jake, a young but misfit boy who is keen on doing any job just to flee from his family impositions, and Mati, an attractive and brilliant student, afflicted however by an existential discomfort. They venture in a star-crossed love, doomed by fate.

off_porto_03-2

Each chapter of the movie, named after the main characters, wants to show the new life they now have together. This life will soon fade, leaving behind a melancholic memory of an evanescent feeling, that the audience can also find in the blurry frames, immersed in neon lights and jazz rhapsodies. The impressionism and the underground atmosphere resulting from the movie, produced by Jim Jarmush, melt with Bertolucci’s echoes of purifying sex scenes of two “trapped” souls. The actors’ bodies of Lucie Lucas and Anton Yelchin (to whom the movie is dedicated, due to his untimely demise) are concrete symbols of a love destined to remain a faint memory lost in time: Mati’s fleshy lips and soft shapes are in contrast with Jake’s sinewy and oaky build, not far from the representations of Egon Schiele; in fact, the two main characters are locked in an “Embrace” and they wish it to never end. But the pretext of telling a fleeting and saving love ends up getting lost in excessive temporal shifts and protracted sex scenes, so the spectator risks to lose all the references and is pushed inside a bare apartment with candles and boxes.

“Porto” di Gabe Klinger

Porto è una città nella quale studenti e gabbiani vivono a proprio agio e che riesce a incantare chi, come Jake e Mati, ha perso la propria libertà. Jake, sbandato disposto a qualsivoglia tipo di mestiere pur di stare alla larga dalle imposizioni familiari e Mati, studentessa attraente e brillante, ma non per questo meno afflitta da disagio esistenziale, si avventurano in un amore condannato a cedere alle imposizioni del destino. Continua la lettura di “Porto” di Gabe Klinger

“Manazil bela Abwab” (“Houses Without Doors”) di Avo Kaprealian

“Dopo che sono stato arrestato per la seconda volta, ho provato il bisogno di realizzare un film rivoluzionario e , così, ho deciso di mettermi al balcone e riprendere la vita reale attraverso l’obiettivo”   Avo Kaprealian

L’emancipazione di un bambino, attraverso la separazione dal suo peluche e dal ritratto di sua madre, apre le porte allo spettacolo inquietante della guerra in Siria e condivide con lo spettatore l’esistenza dei rifugiati nel quartiere Al Minadi di Aleppo. “La storia è quella di una madre qualunque, di un padre qualunque, è una storia di Tutti”: con queste parole Avo Kaprealian descrive il cuore pulsante del suo documentario, che trova la sua radice nella necessità di assumere una prospettiva riguardo ciò che stava accadendo attorno al regista.

Continua la lettura di “Manazil bela Abwab” (“Houses Without Doors”) di Avo Kaprealian

“Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti

Roma, giorni nostri. Protagonista Enzo Ceccotti, ladruncolo di periferia che si barcamena tra piccoli furti nella speranza di non essere preso. Ma in fondo non è nessuno, mai riuscito ad entrare nel giro della criminalità che conta, schivo, deluso dalla vita e ancor più da se stesso.

Claudio Santamaria calza a pennello nel ruolo del nuovo superhero italiano, per interpretare il quale è dovuto aumentare di peso di ben 20 kg, 100 in tutto. Il film, ispirato alla serie manga Jeeg Robot d’acciaio di Go Nagai, è un film d’azione moderno, a cui viene però aggiunta una buona dose di ironia. È il mito dell’uomo qualunque che, in seguito ad un incidente, riceve super poteri tali da poter cambiare il mondo. O così crede Alessia (Ilenia Pastorelli), protagonista femminile che, vittima di violenza domestica e mentalmente disturbata, è ossessionata dall’idea che Hiroshi Shiba, eroe della serie, esista nel mondo reale e che proprio Enzo sia il fatidico Jeeg Robot d’acciaio. L’uomo compie così un percorso verso la redenzione, maturando la consapevolezza di avere un obbligo morale.

Nel cast, minuziosamente scelto dal regista Gabriele Mainetti, in stretta collaborazione con lo sceneggiatore Guaglianone, risalta un personaggio eccezionale: lo Zingaro, Luca Marinelli, boss eccentrico fino alla follia, innamorato della propria immagine e del sogno di diventare famoso e rispettato dalla malavita, che cerca di carpire i segreti della sovraumana forza fisica, ma non solo, del protagonista.

Ciò che emerge dal lungometraggio è la facilità con cui le storie che assorbiamo influenzano la nostra vita. Alessia crede che Jeeg Robot esista; Enzo, nonostante sappia non sia così, lentamente comincia a crederci e a ragionare da eroe (emblematico il gesto di sostituire i film porno con i dvd della serie animata).

Si tratta di un film come non se ne vedono molti in Italia, che prende solo il meglio dai più gettonati superhero movies americani. Un cinema di intrattenimento che nonostante il basso budget (1.700.000 euro) guadagna più di un posto d’onore alla premiazione dei David di Donatello e soprattutto riesce a far nascere in ciascuno di noi la domanda: possono ancora esistere, fra noi, uomini così fuori dall’ordinario?

Alice Dall’Agnol, studentessa del Corso di Critica cinematografica (DAMS, a.a. 2015-2016)

 

“Microbo & Gasolina” di Michel Gondry – 1

Quanti di noi da piccoli davanti a un foglio bianco non hanno mai disegnato una casa? Tetto rosso triangolare e finestre come occhi sorridenti, oppure assi di legno inchiodate? E quanti, spinti da un’immaginazione un po’ stereotipata, non ci hanno mai aggiunto quattro ruote, e un asfalto su cui zigzagare? Il film di Michel Gondry dà tridimensionalità a quel sogno comune, calandolo in una Francia problematica nell’istruzione e nei nuclei familiari. Microbo e Gasolina sono le vittime di questi due mondi: troppo “diversi” per adattarsi alla scuola (i soprannomi provengono proprio da lì, e dal bullismo dilagante), troppo liberi per restare nel nido di famiglie dure e distanti. Continua la lettura di “Microbo & Gasolina” di Michel Gondry – 1

“Sole alto” di Dalibor Matanić

Metafora di amore flagellato da guerra culturale, sociale e politica nella ex Jugoslavia.

Sole alto, film croato del 2015 vincitore del Premio della Giuria di Cannes dello stesso anno, è metafora di vita e amore, di conflitto e passione, di lotta umana e natura. Quest’ultima invade il film in tutta la sua interezza: in ogni episodio; in ogni scena, inquadratura.

Natura in contrasto con la modernità e con l’uomo che tenta di piegarla, uscendo sempre sconfitto. I protagonisti del primo episodio, Jelena e Ivan, 1991 fumano di fronte ad un lago e qualche minuto dopo alcune camionette, con degli uomini armati a bordo, attraversano un prato incontaminato. Case devastate e i loro scheletri si ergono tra gli alberi con sottofondo di fruscio di foglie e canto di uccelli nel secondo episodio, Nataşa e Ante, 2001. Il Rave del terzo episodio, Marija e Luka, 2011 appare circondato dalla natura, la quale infine vince quando Luka torna dalla donna amata. La natura vittoriosa, quindi, fa riflettere Luka, ossia l’uomo.

È esemplare l’uso del dettaglio: il ragno sotto un quadro o su una finestra, il cibo in una busta prima che Jelena parta, la valigia della stessa, la campanella e il libro tra le macerie della scuola, la tromba in mano ad Ivan. Il dettaglio onnipresente è quello di un cane, nero. Un cane guida è davanti a Luka mentre torna a casa, un cane spettatore guarda l’auto di Ante che va via dalla casa di Nataşa.

Un uso eccellente del Primo Piano mette in risalto l’elevata interpretazione degli attori protagonisti (Tihana Lazović e Goran Marković): si vedano gli sputi di Goran durante i litigi, la riflessione di Tihana accovacciata tra due muri, la scena di sesso tra Nataşa e Ante, prima che lei rifiuti il bacio e gli dica: “abbiamo finito”.

Insomma, un film d’autore che potrebbe delineare delle basi solide per un ritorno di tematiche ancora forti.

Davide Ferraro, studente del Corso di Critica cinematografica (DAMS, a.a. 2015-2016)

“SLAM – Tutto per una ragazza” di Andrea Molaioli

Si è svolta, negli affollatissimi spazi Rai di Via Verdi, la conferenza stampa dedicata alla commedia italiana Slam – Tutto per una ragazza, uno dei titoli di punta della sezione Festa Mobile. Hanno risposto alle numerose domande dei giornalisti il regista Andrea Molaioli, le produttrici Francesca Cima e Paola Malanga e gli attori Ludovico Tersigni, Barbara Ramella e Jasmine Trinca, la quale è anche madrina di questa edizione del festival. Continua la lettura di “SLAM – Tutto per una ragazza” di Andrea Molaioli

“Nodo alla gola” (“Rope”) di Alfred Hitchcock

Il primo film a colori di Alfred Hitchcock, basato interamente sul piano sequenza, non è semplicemente un film sperimentale. La cura con cui vengono descritte due menti deviate che si macchiano di un omicidio per il puro gusto di farlo sfida il codice Hays con la sottintesa omosessualità di Brandon e Philip. I due sono legati da un rapporto servo-padrone: Brandon, la mente criminale attratta dal brivido del delitto perfetto, architetta un buffet sopra il sarcofago del morto, invitando – qui sta l’humour necrofilo e perverso – i parenti della vittima, nonché la sua fidanzata e il suo migliore amico. La provocazione di Brandon sta anche nell’invitare un suo vecchio insegnante di filosofia, Rupert Cadell (interpretato da James Stewart), intollerante verso le convenzioni sociali e sostenitore di una nietzschiana teoria sull’omicidio riservato a pochi eletti, ovviamente presa alla lettera e fraintesa dagli assassini.

Sarà il nervosismo di Philip, anello debole della catena, a fare insospettire Rupert e a portarlo allo svelamento dei colpevoli. Il titolo del film, infatti, non si riferisce soltanto allo strangolamento, ma anche al senso di angoscia provocato dall’uccisione. Ma la vera protagonista del film è la macchina da presa che segue i personaggi non solo nei loro movimenti, ma talvolta anche nei loro ragionamenti: lo dimostra la finale ricostruzione del delitto da parte di Rupert. I raccordi sulla schiena (la tecnica di allora non avrebbe permesso di realizzare un unico piano sequenza) e la recitazione degli attori condizionati dagli ostacoli del set e dall’ingombro dei macchinari tecnici, aumentano il senso di claustrofobia e tensione nevrotica. Non a caso, oltre a Nietzsche, viene più volte citato Freud: gli oggetti non sono semplicemente “prove” ma veri e propri “simboli”, come il portasigarette che serve a Rupert per incastrare i colpevoli.

Carlo Montrucchio, studente del Corso di Critica   cinematografica (DAMS, a.a. 2015-2016)

Press conference: Gabriele Salvatores and his Cinque Pezzi Facili

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Giorgia Bertino

Translation by: Chiara Mutti, Giulia Epiro

Last but not least in the busy morning is the press conference with Gabriele Salvatores, guest director for the 34th edition of the TFF. He was inevitably asked about the Cinque Pezzi Facili, naming five films he chose to include in one of the sections of this year’s festival. His favorite feature, says the director, is undoubtedly Jules et Jim, both emotional and delicately evocative and also the loyal keeper of a young Salvatores’ memory, who from ordinary viewer became an aware cinéphile.

Continua la lettura di Press conference: Gabriele Salvatores and his Cinque Pezzi Facili

“Marie et les naufragés” (“Marie and the Misfits”) di Sébastien Betbeder

Una commedia divertente dal retrogusto agrodolce che racconta la storia di un triangolo d’amore dai risvolti stravaganti alla Wes Anderson, ma con la comicità leggera della commedia francese. È questa la squisita ricetta che propone Sébastien Betbeder in Marie et les naufragés, un film deliziosamente anticonvenzionale, che parte dalla commedia per farne qualcosa di più complesso: si ride parecchio, questo è certo, ma la comicità delle singole situazioni porta sempre ad una riflessione sulla complessità della vita e dei rapporti umani.

Continua la lettura di “Marie et les naufragés” (“Marie and the Misfits”) di Sébastien Betbeder

“Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese

Le cosiddette commedie casalinghe”, quelle giocate interamente su un gruppo di persone riunite attorno ad un tavol, sono diventate negli ultimi anni sempre più diffuse all’interno della cinematografia europea. Ha deciso di cimentarsi in questo particolare genere anche Paolo Genovese con il suo film Perfetti sconosciuti.

Il punto di partenza della vicenda è una proposta, apparentemente innocente, fatta dalla padrona di casa ai suoi ospiti: mettere il proprio cellulare sul tavolo e rivelare pubblicamente ogni tipo di comunicazione che verrà ricevuta nel corso della serata. Ben presto questo gioco si tramuterà in un massacro in cui ognuno vedrà svelati i propri segreti, presenti e passati. Le certezze che tutti avevano nei confronti dei loro amici o amiche, mogli o mariti, vengono sgretolate una ad una. Nessuno può fidarsi più di nessuno. Quelli che ognuno ritrova davanti a sé sono dei perfetti sconosciuti.

Il grande pregio di questo film, per certi versi apertamente comico, per altri decisamente malinconico, consiste nell’aver creato un’alchimia assoluta fra i sette attori coinvolti; infatti interagiscono fra loro con una naturalezza talmente disarmante da farli sembrare, anche nella vita reale, amici di lunga data.

Fra di loro spiccano Valerio Mastandrea (Lele) e Giuseppe Battiston (Beppe) ma sono tutti perfettamente adatti ai personaggi che interpretano e hanno saputo caratterizzarli al meglio. Ma prima di tutto sono da apprezzare i dialoghi, ai quali è stata prestata una cura tanto particolareggiata da non farli cadere mai nel banale, evitando così ogni tempo morto per l’intera durata del film. Infine è da notare la metafora dell’eclissi lunare, che segnala il fatto che venga illuminato il “dark side of the Moon” proprio mentre la Luna finisce per oscurarsi.

Mattia Olivero, studente del Corso di Critica cinematografica (DAMS, a.a. 2015-2016)

Sully by Clint Eastwood

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Marco Bellani

Translation by: Silvia Cometti, Miriam Todesco

Almost ten years after “Gran Torino”, Clint Eastwood is back with another means of transport as a vehicle of ideas, stories, values. Then, it was a legendary Ford, symbol of national identity and anti-racism; now, it is the Airsways 1549 scheduled flight, driven by Captain Chelsey Sullenberger. Or, more simply and tenderly, it is like a “Cactus” flown by Sully in New York’s skies as if it were a kite.

Continua la lettura di Sully by Clint Eastwood

“Sully” di Clint Eastwood

A quasi dieci anni di distanza da Gran Torino, Clint Eastwood torna a utilizzare un mezzo di trasporto come veicolo di concetti, storie, valori. Là era una leggendaria Ford, simbolo di identità nazionale e anti-razzismo, qui è il volo di linea Airsways 1549 pilotato dal comandante Chelsey Sullenberger. O più semplicemente, e teneramente, un “Cactus” nei cieli di New York lanciato da Sully come fosse un aquilone.

Continua la lettura di “Sully” di Clint Eastwood

Antiporno by Sion Sono

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Mattia Capone

Translation by: Andreea Catana, Francesca Sala

Excessive, reckless, maverick, unscrupulous. But Sion Sono has also got flaws.

Before talking about  Antiporno, it might be better to explain what watching a movie by this incredible Japanese director really means.
Have you ever heard people saying “Asiatic movies are far too complex, I can’t understand them”? There you go, I’m sure that not even Asians can “understand” Sion. At least not at the first viewing.

Continua la lettura di Antiporno by Sion Sono

CONFERENZA STAMPA DI APERTURA DEL 34° TFF

img_8718
Antonella Parigi, Francesca Leon, Emanuela Martini, Paolo Damilano

C’è una carovana di colori che ogni anno arriva in città e ne festeggia l’istituzione regina (il cinema) invitando dal più piccolo sognatore al più dotto dei suoi critici. Il Torino Film Festival sfoggia per la sua 34esima edizione un perturbante abito viola come il punk e nero come un horror. Continua la lettura di CONFERENZA STAMPA DI APERTURA DEL 34° TFF

Operation Avalanche by Matt Johnson

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Luca Bellocchia

Translation by: Riccardo Abba, Barbara Lisé

Operation Avalanche begins as a found footage comedic mockumentary, turning quickly into a very engaging thriller. This combination of genres results in an intriguing film, providing many plot twists.

Continua la lettura di Operation Avalanche by Matt Johnson

Il magazine delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino